La web-serie L’ultimo grido, scritta e diretta dall’autore ferrarese Giuseppe Muroni, è prodotta dall’Istituto dell’Enciclopedia Treccani in collaborazione con Controluce Produzione in occasione degli ottanta anni dalle Leggi razziali.
Con il ritrovamento e la lettura di quattro lettere, vengono ripercorse le storie di vita di quattro cittadini italiani di religione ebraica rimaste ai margini della Storia. È dalla dimensione privata che bisogna partire per comprendere le vicissitudini dei quattro protagonisti di questa web-serie, e non è un caso se la lettera è stata scelta come emblema del viaggio che ci porta a ritroso nel tempo.
La riflessione sulle Leggi Razziali
Nel contrasto tra “spazio privato-libertà” e “spazio pubblico-negazione” si poggiano le fondamenta di una comunità che, come nessun’altra, tentò di non piegarsi alla bieca violenza. Fino a quando le porte di casa rimangono invalicabili viene coltivata una speranza, nutrita dalla fede e dalla cultura; nel momento in cui verrà violata la dimensione privata-familiare, mediante rastrellamenti e deportazioni, inizierà la «persecuzione delle vite» e il periodo più fosco della storia del Novecento.
Le epistole diventano veri e propri luoghi della riflessione, della paranoia, del ripensamento, della scissione, dell’auto-analisi, del malessere, dell’intimità, della resistenza e della libertà. L’ultimo grido racconta da una prospettiva diversa gli anni tra 1938 e il 1943.
L’ultimo grido, il cast
Stefano Muroni (che oltre ad essere attore e anche scrittore e che da poco insieme alla compagna Valeria Luzi ha ideato la casa di produzione Controluce) interpreta la parte di un ebreo di Venezia, dipendente della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che viene improvvisamente licenziato nel dicembre del 1938, dopo molti anni di onorato lavoro. Lui, come altre migliaia di ebrei italiani, invia una lettera al Duce. Gli appelli restano inascoltati, le persecuzioni diventano più violente e iniziano i primi attacchi fisici. Nell’ottobre del 1941 viene presa di mira la sinagoga di Torino.
Monica Guerritore, nei panni di un’ebrea torinese, cammina per le strade vuote del ghetto sotto una pioggia incessante: sono passati pochi giorni dall’affissione di manifesti e volantini con su scritti i nominativi degli ebrei della città. Tornata a casa e in preda alla disperazione scrive una lettera al marito, morto a New York. Dominano i luoghi chiusi in cui emerge l’aspetto riflessivo: le mura di casa così come la Sala F del convento-caserma di San Bartolomeo a Campagna, in provincia di Salerno, sono la sede dei dubbi esistenziali, della fuga e della presa di coscienza.
Francesco Montanari scrive da uno dei campi di internamento più importanti del centro-sud della penisola. Come passeggeri su una metropolitana della memoria, si fa sosta nella Ferrara di Giorgio Bassani.
Francesca Inaudi (reduce dal successo cinematografico del film “Ninna Nanna” sulla depressione post-partum) interpreta un personaggio ispirato a Matilde Bassani: arrestata perché la sera del 10 giugno 1943 affigge manifesti in ricordo a Giacomo Matteotti, una volta liberata scrive una lettera ad una amica per documentare ciò che le è accaduto.
Il prossimo video (il terzo) andrà in onda online sul Portale Treccani venerdì 9 febbraio mentre l’ultimo sarà visibile venrdì il 16 febbraio.