Oggi sono 25 anni dall’inizio dell’inchiesta “Mani Pulite” cui il primo coinvolto fu Mario Chiesa. L’inchiesta, rivoluzionò la politica italiana. Ma andiamo a vedere, a distanza di 25 anni, cosa fa oggi il primo coinvolto nel maxi scandalo della politica italiana.
La vicenda giudiziaria che fece cadere la Prima Repubblica e si trasformò presto in Tangentopoli partì proprio da Mario Chiesa. Coordinata dalla Procura guidata da Francesco Saverio Borrelli e assegnata in prima battuta ai pm Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo, l’inchiesta mise sottosopra l’intero Paese e ridisegnò la geografia politica italiana, spazzando via Psi e Dc. Sotto il profilo giudiziario le persone indagate furono 4.500, le richieste di rinvio a giudizio 3.200, mentre il totale delle tangenti e dei fondi neri avrebbe oltrepassato i 3.500 miliardi di lire.
Fu proprio l’arresto di Mario Chiesa che diede il via al caso Mani Pulite. Venne arrestato il 17 febbraio 1992, quando ricopriva la carica di presidente del Pio Albergo Trivulzio. Fu colto in flagrante mentre accettava una tangente di sette milioni di lire dall’imprenditore Luca Magni, che gestiva una piccola società di pulizie e che, come molti in quel periodo si assicuravano le vittorie per gli appalti grazie alle famose tangenti. In seguito, Chiesa chiedeva tangenti sempre più esose, fino al giorno in cui il piccolo imprenditore Magni contattò il magistrato Antonio di Pietro per denunciare l’accaduto. I due decisero di incastrarlo dando via all’inchiesta di Mani Pulite che sfocerà in Tangentopoli.
Scontata la pena, Mario Chiesa si riavvicinò alla politica partecipando a convegni pubblici della Compagnia delle Opere, associazione imprenditoriale legata a Comunione e Liberazione. Ha inoltre affermato di essere entrato nell’ufficio di presidenza dell’organizzazione. Il lupo, però, perde il pelo ma non il vizio, così il 31 marzo 2009 Mario Chiesa venne arrestato di nuovo, con l’accusa di essere stato il collettore delle tangenti nella gestione del traffico illecito di rifiuti nella Regione Lombardia. È stato definito “L’uomo del 10%” in quanto avrebbe avuto la capacità di far lievitare i costi di smaltimento dei rifiuti di un decimo rispetto al valore raggiunto a fine gara (d’appalto).