L’assassinio di Martin Luter King: cosa accadde il 4 aprile 1968?
Il 4 aprile di 50 anni fa il reverendo King si trovava a Memphis. King aveva raggiunto il Tennessee per parlare di fronte agli addetti alla nettezza urbana che negli ultimi mesi avevano indetto diversi scioperi. Si trattava di una categoria professionale composta quasi esclusivamente da afroamericani, e sottoposta a condizioni di lavoro degradanti.
Pochi mesi prima, oltretutto, l’uomo che si occupava della raccolta dei rifiuti nel quartiere dello stesso Martin Luther era morto intrappolato nella macchina trita-rifiuti, un evento che l’aveva molto turbato, e l’aveva spinto a interessarsi ancora di più alla causa dei netturbini.
Dopo il discorso, tenutosi presso una chiesa della città, il reverendo King era tornato con i suoi al motel in cui alloggiava, uno dei pochi ad avere la fama di non essere ostile ai neri, e si stava preparando per uscire a cena. Verso le 18 uscì per un momento sul balcone della sua stanza quanto fu colpito da un solo proiettile, sparatogli alla guancia, che bastò a togliergli la vita.
Perché Martin Luther King era famoso nel 1968 (e continua a esserlo oggi)?
Al momento del suo assassinio il reverendo battista Martin Luther King Jr. era una celebrità della lotta per i diritti civili, in particolare dei neri, ma il suo dream era in realtà molto più ampio, inclusivo e visionario. Quello che è oggi un indiscusso, universale, quasi innocuo simbolo della lotta non violenta per l’emancipazione degli afroamericani, era ai tempi un personaggio tanto noto quanto scomodo.
La sua critica si allargava alla guerra in Vietnam, al capitalismo, alla segregazione nelle città americane e nel mondo, alla mancanza di parità di opportunità. L’allora presidente degli Stati Uniti Johnson lo chiamava “il predicatore negro”, e il capo dell’FBI Hoover “l’uomo più pericoloso d’America”.
Martin Luther King fu per la prima volta al centro all’attenzione pubblica e mediatica durante il boicottaggio dei bus di Montgomery, Alabama, seguito al famoso rifiuto della quindicenne afroamericana Rosa Park di cedere il suo posto sull’autobus ad un uomo bianco. Era il 1955 e King aveva guidato la protesta, a cui seguirono molte altre nei decenni successivi, incoronandolo come il più celebre attivista per i diritti civili e la parità negli Stati Uniti.
Il momento più epico della sua vita pubblica fu la partecipatissima marcia di Washington per la liberà e il lavoro, tenutasi nel 1963, in cui il reverendo battista pronunciò uno dei discorsi più famosi nella storia della cultura occidentale, ovvero il celeberrimo I have a dream, il sogno di un afroamericano di poter partecipare all’American Dream:
Nel 1965 gli venne conferito il premio Nobel per la pace.
Subito dopo l’assassinio
La morte violenta dell’eroe della pace e della non-violenza sconvolse la nazione e il mondo. A poche ore dalla diffusione della notizia del suo assassinio scoppiarono proteste e disordini in più di 100 città americane, tra cui Washington e Chicago tra le più violente. 35 persone rimasero uccise negli scontri con la polizia. Il giorno dopo la morte, la vedova di King, Coretta Scott King, si recò a Memphis e guidò la marcia pacifica dei netturbini in sciopero. Il presidente Johnson che, grazie alla crescente pressione proveniente dal movimento di Martin Luther, aveva firmato nel 1964 il Civil Rights Act, dichiarò il 7 aprile giorno di lutto nazionale.
L’8 si tennero i funerali ad Atlanta, a cui parteciparono decine di migliaia di persone, tra cui la ex first lady Jacqueline Kennedy e l’allora vice presidente Hubert Humphrey. L’assassino, il quarantenne Ray, già accusato precedentemente per rapina e furto, fu arrestato a Londra il 9 giugno 1968 e sentenziato negli Stati Uniti a 99 anni di carcere. Ray morì in carcere nel 1998.
50 anni dopo: si è realizzato il sogno di King?
50 anni dopo la morte di Martin Luther King le opinioni sullo “State of the Nation” sono molte e discordanti. Dopo lo Yes We Can del primo presidente nero, gli Stati Uniti sono stati travolti dallo scandalo della violenza della polizia contro i cittadini neri e dalla retorica apertamente razzista del presidente che vieta l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di alcuni Paesi mussulmani e che definisce i messicani stupratori. Molti attivisti afroamericani, come tanti nomi famosi del movimento BlackLivesMetters, tendono a vedere negli eventi degli ultimi due anni un allontanamento dagli obbiettivi di emancipazione delle minoranze etniche (e non solo) in USA.
Anche la figlia minore di King, Bernice King, si è espressa in questi giorni in occasione del cinquantennale della morte del padre, ma con un messaggio più speranzoso: Bernice vede nel rinato attivismo degli americani, mobilitatisi non solo con i movimenti di Balck Live Matters, ma anche con le marce anti-trumpiste delle donne e per il controllo delle armi, un nuova epoca di impegno politico e di cambiamento per il suo Paese che rinforza e porta avanti l’eredità del padre.
Google dedica oggi un Doodle alla vita e all’eredità dell’attivista Martin Luther King Jr.