“Se mi domanda chi costui sia/ che versa sopra il rio tante lacrime/ io dirò che egli è il re di Circassia/ quel d’amor travagliato Sacripante”. Così Ariosto descrive nel suo Orlando Furioso (1516, canto I-ottava 45) il cavaliere Sacripante che si strugge d’amore per Angelica, protagonista femminile del poema oggetto di contesa tra gli altri cavalieri Orlando, Rinaldo e Ferraù, il cui fiore egli non è riuscito ancora a cogliere.
Sacripante, Storia dell’amore travagliato
Dopo essere fuggita da Orlando e Ferraù che si contendevano il suo amore, la bella Angelica si ferma sulla riva di un fiume intenta a riposarsi quando dall’altra parte dello stesso fiume “vede ch’armato un cavallier giunto era” (ottava 38).
Ella infatti vede Sacripante immerso nei suoi pensieri perché è convinto che ormai il fiore di Angelica sia già stato colto da altri prima lui e non capisce perché continua ancora ad amarla. Ella sentendo i suoi ragionamenti, decide di approfittarsene chiedendo a lui protezione nel suo viaggio di ritorno verso casa e facendogli credere che alla fine del viaggio egli avrà quello che più desidera da lei.
Per lei, duqnue, Sacripante affronterà innumerevoli pericoli, mostrando la sua forza e fierezza in tutto il suo essere senza riuscire tuttavia ad ottenere ciò che vuole da Angelica, il suo fiore.
Significato odierno del termine
È da qui infatti che il suo nome comincia ad essere usato nella lingua italiana come nome comune che sta ad indicare un uomo grande e grosso dall’aspetto fiero e minaccioso, che incute paura e soggezione. Un termine usato spesso in situazioni giocose il cui sinonimo più vicino può essere benissimo quello di energumeno, in senso figurativo, cioè di una persona invasa da una forte passione, in questo caso d’amore.
Il termine sacripante è anche usato anche per indicare una persona che fa il gradasso, lo spaccone, che si vanta di sé senza aver fatto chissà che grandi cose: una persona dunque vanagloriosa. Tale sfumatura di significato va ricercata questa volta nel poema di Alessandro Tassoni, La Secchia Rapita (1622), in cui uno dei personaggi, il conte di Culagna, viene descritto proprio come Sacripante per le sue gesta eroiche, ma che poi si rivelano essere piccolezze: “spesso ammazzato avea qualche gigante/ e si scopriva poi che era un cappone” (canto III-ottava 12); oppure, “avea dugento scrocchi in una schiera/ mangiati dalla fame e pidocchiosi;/ ma egli dicea che era duomila e che era/ una falange d’uomini famosi” (canto III-ottava 13).
Insomma, un termine quello di sacripante che oggi è quasi in disuso nella lingua italiana ma che racchiude le gesta eroiche di un cavaliere che soffre le pene d’amore e che grazie ad esse riesce a mostrarsi comunque valoroso e forte agli occhi della sua amata.
Un amore non corrisposto che mette in luce l’ingenuità dell’uomo di fronte agli intrighi femminili, sconosciuti al genere maschile, che lo rendono però un credulone.
Un altro termine da scoprire e apprezzare come Lapalissiano e Sagittabondo.