Era il 12 dicembre 1969, quando a Milano all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana esplose un ordigno che ferì 88 persone e ne uccise 17.
Altre bombe esplosero quel giorno, seminando il panico tra la gente, una in una banca di Milano, tre a Roma di cui una in Via Veneto, una all’Altare della Patria ed una terza al Museo del Risorgimento ferendo altre 17.
I sospetti iniziali si focalizzarono sugli anarchici, di cui furono fermati diverse personalità. Uno di questi era Giuseppe Pinelli, morto il 15 dicembre del medesimo anno in circostanze ancora da accertare. La morte di quest’ultimo vide incolpare il commissario Luigi Calabresi, ucciso nel 1972 dagli esponenti di Lotta Continua accusati di omicidio.
Ma le indagini per i responsabili della strage di Piazza Fontana continuarono e si spostarono su un altro anarchico Pietro Valpreda, assolto in seguito al processo. La ricerca si spostò poi sul versante neofascista con Franco Freda e Giovanni Venturi, accusati a seguito della assoluzione di Valpreda, di essere stati i fautori della strage insieme alla formazione politica di Ordine Nuovo. Anch’essi assolti o le loro condanne furono cadute in prescrizione.
Nonostante sette processi e quarantasette anni passati, la verità non è salita ancora a galla. Piazza Fontana è l’emblema della strategia della tensione che ha visto l’Italia perduta davanti agli scontri politici di gruppi eversivi.