La Corte di Cassazione ha disposto un nuovo processo d’appello bis per la famiglia di Antonio Ciontoli, il principale indagato nell’omicidio di Marco Vannini, il giovane di appena 20 anni ucciso con un colpo di pistola nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 a casa della fidanzata a Ladispoli, sul litorale romano.
Il Pg della Cassazione Elisabetta Ceniccola aveva chiesto l’annullamento della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma, che aveva disposto la riduzione della condanna nei confronti di Ciontoli da 14 a 5 anni. Nella requisitoria il Pg aveva evidenziato come “Marco Vannini non è morto per un colpo di arma da fuoco, ma è morto per un ritardo di 110 minuti nei soccorsi” da parte della famiglia Ciontoli. Ragione per cui, il ritardo nel chiamare i soccorsi “costituisce l’assunzione di una posizione di garanzia verso Vannini, presa da parte di Antonio Ciontoli e dai suoi familiari”.
Il Pg della Cassazione Ceniccola ha evidenziato che “per ben 110 minuti hanno mantenuto una condotta reticente e omissiva parlando al telefono con gli operatori del soccorso, in riferimento comportamento di Antonio Ciondoli e dei suoi familiari.
Legale Vannini: “Ciontoli pensava al posto di lavoro”
Il professore Franco Coppi, legale di parte civile della famiglia Vannini, ha ribadito: “Ciontoli ha seguito passo per passo l’agonia di Marco Vannini, pensando solo a salvare il suo posto di lavoro. La morte del ragazzo avrebbe portato via l’unico testimone di quello che è successo nell’abitazione di Ladispoli”.
E ha ricordato nell’aula della Prima sezione penale della cassazione gremita di pubblico il ragazzo “è stato colpito da un’arma micidiale, lo sparo gli ha trapassato cuore e polmone, e una costola, e si è fermato sotto i muscoli del petto. Il cuore di Marco ha continuato a pompare sangue fino alla fine, si sarebbe salvato se lo avessero soccorso, come ha riconosciuto con onestà lo stesso consulente della difesa”.