Quarant’anni fa veniva ucciso Walter Tobagi, una delle firme più importanti del Corriere della Sera. Fu tra le ultime vittime degli anni di piombo
Il 28 maggio 1980 moriva in un agguato Walter Tobagi, giornalista 33enne, ucciso da un gruppo terroristico legato all’estrema sinistra, la Brigata XXVIII marzo. Tobagi, sulle pagine del Corriere della Sera, si occupava da tempo del terrorismo, proponendo articoli di analisi storica sul fenomeno. Da tempo, quindi, era nel mirino dei gruppi di lotta armata che – anche durante gli anni 80 – portarono a termine sanguinosi attentati, come, ad esempio, quello a Carlo Casalegno, firma de La Stampa.
Walter Tobagi: Carriera e Biografia
Tobagi dedicò la sua intera vita al giornalismo. Umbro di nascita, si trasferisce da bambino alle porte di Milano. Inizia a scrivere già al liceo, presso il giornalino scolastico La Zanzara, lo stesso al centro di uno scandalo internazionale nel 1966 per aver pubblicato un articolo che trattava di educazione sessuale.
A ventuno anni, mentre è iscritto all’università, inizia a collaborare per l’Avanti!, il giornale socialista, per passare poi all’Avvenire dopo pochi mesi. Si laurea intanto in Storia Contemporanea, con una tesi sul movimento sindacale nel dopoguerra.
A soli venticinque anni, diventa una delle firme più interessanti del Corriere della Sera, tra i più importanti quotidiani in Italia. I suoi interessi erano molto vari e potè esprimerli nei giornali per cui collaborò. La sua prima inchiesta fu sulla politicizzazione del Movimento Studentesco, ma riuscì anche a documentare alcuni importanti temi di politica estera come la caduta del franchismo, il futuro dell’Algeria rivoluzionaria, la guerriglia in Ciad e le atrocità del regime dei colonnelli in Grecia.
La carriera di Tobagi fu anche accademica. Ottenne poco dopo la laurea una cattedra in Storia Moderna presso l’Università Statale di Milano e, pubblicò ben sette libri. Fu ben chiaro il suo interesse verso il mondo sindacale e l’associazionismo cattolico. L’ultimo suo libro, uscito postumo per la Rizzoli, era appunto intitolato “Che cosa contano i sindacati”.
Il terrorismo, però, fu uno dei temi che lo interessava di più, e al Corriere della Sera ebbe modo di parlarne accuratamente. I suoi articoli, testimoniano i colleghi, erano sempre preparati in maniera attenta e scrupolosa. E, probabilmente, furono queste analisi fredde ed esatte a renderlo bersaglio da colpire.
L’omicidio
La brigata che lo colpì si rifaceva ai metodi delle Brigate Rosse, pur non avendone l’organizzazione ed i mezzi. La XXVIII marzo nacque solo pochi mesi prima, quando i carabinieri entrarono in un covo delle BR – per l’appunto – il 28 marzo 1980, uccidendo quattro militanti. Nello stesso mese di maggio la brigata sparò prima a Guido Passalacqua, giornalista di Repubblica, e poi a Tobagi, provocandone la morte.
Il commando che uccise Tobagi era composto anche da ragazzi indirettamente coinvolti nel mondo dell’editoria. Tra questi c’era Paolo Morandini, figlio del celebre critico cinematografico e Marco Barbone, figlio di un dirigente editoriale Rizzoli. Il processo che seguì fu totalmente stravolto dalle dichiarazioni di Marco Barbone, il quale decise di collaborare con la magistratura godendo di uno scontro di pena.
L’omicidio Tobagi, indirettamente, condusse ad un maxi processo con 102 imputati di varie organizzazioni armate di estrema sinistra. I responsabili materiali dell’omicidio (Marano e Barbone) furono condannati dagli 8 ai 24 anni, scontando però solo un breve periodo della pena in cella.
Le polemiche sulla morte di Tobagi, però, non si placarono neanche dopo il processo. I magistrati milanesi, secondo molti commentatori, sminuirono il ruolo di alcuni collaboratori fondamentali all’omicidio, rendendolo uno dei cosiddetti “misteri irrisolti d’Italia”. Oggi, a quarant’anni, la memoria di Tobagi è ancora forte nell’opinione pubblica e nel mondo del giornalismo, per cui il giovane cronista ha dato la vita.