Tutti abbiamo sentito parlare o siamo vittime di Fake News. Continuiamo a sentirci ripetere che l’Italia sta uscendo dalla crisi, o che il Pil è in crescita, o che l’occupazione dimostra una ripresa. Tutti segnali indubbiamente positivi, o almeno a una prima occhiata. Infatti, se analizziamo meglio i dati, scopriamo che non c’è da stare tanto allegri: è vero che il Pil è in crescita, ma cresce meno di quello degli altri paesi europei e, soprattutto, cresce a cifre irrisorie: se nel terzo trimestre del 2017 il Pil italiano è cresciuto dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, il Pil dell’Eurozona nel medesimo periodo ha segnato un +06% e u +2,5% su base annua. Per farla breve, siamo penultimi in Europa, peggio di noi solo il Belgio.
Per non parlare poi dei dati sull’occupazione che sono tutt’altro che rassicuranti: se è vero che il dato è in crescita per i lavoratori dipendenti e per la fascia degli over 50, ciò che preoccupa è il tasso di disoccupazione giovanile che si attesta al 35% e che ha già portato oltre 25000 laureati ad abbandonare il nostro paese.
Insomma, l’Italia va bene, ma non benissimo. Volendo dare credito al vecchio adagio del “chi si accontenta gode” Matteo Renzi non ha perso l’occasione per accollarsi tutti i meriti di questi risultati straordinariamente miseri, arrivando a dire che si sono potuti ottenere proprio grazie ai suoi memorabili mille giorni di governo.
Come se non bastasse, la campagna elettorale incombe, dato che l’altrettanto indimenticabile governo stampella di Paolo Gentiloni sta chiudendo i battenti, ed è proprio questo il momento in cui i temi citati poc’anzi dovrebbero assumere ancor più rilevanza nelle agende politiche dei partiti, i quali dovrebbero fornire le loro soluzioni per ciascuno di essi.
Ma, si sa, le cose in Italia prendono sempre delle pieghe inaspettate ed essendo un popolo di benaltristi ci convinciamo che esistano sempre problemi più gravi da affrontare rispetto a quelli attuali per finire poi a non risolverne neanche uno. La politica in questo è molto brava a spostare l’attenzione da un problema all’altro, ma molto spesso anche noi elettori non siamo da meno a farci prendere per il naso dalla retorica dei leader di partito, e così finiamo per prendere sul serio dei problemi che in realtà non esistono affatto.
Il fenomeno fake news in Italia
In questo 2017 che volge al termine la grande arma di distrazione di massa sembra essere stata incarnata dalle fatidiche fake news, che possiamo tradurre colloquialmente come bufale per non abusare eccessivamente di inglesismi superflui. E in un paese dove, invece di parlare di mondo del lavoro moribondo, di Pil tenuto in piedi col cucchiaino e di crisi che è tutt’altro che passata, si preferisce disquisire delle scaramucce Renzi vs D’Alema, immigrazione sì/immigrazione no oppure, ancora peggio, del noiosissimo caso Boschi e Banca Etruria, non c’è allora da stupirsi se il fenomeno fake news tiene banco in egual misura.
Se poi ci mette il naso anche il New York Times allora ne scaturisce un caso internazionale. Infatti, secondo il giornale d’oltreoceano, l’Italia sarebbe a rischio se le fake news riuscissero a condizionare o manipolare il voto degli elettori, il che avrebbe ripercussioni dirette anche sull’intera stabilità dell’Ue dato che le elezioni italiane vengono seguite con grande attenzione.
Del resto gli esempi nostrani di bufale non mancano di certo e alcune sono divenute davvero memorabili, come quella che vede la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi e della presidente della Camera Laura Boldrini presenziare ai funerali del boss mafioso Totò Riina, una fake news bella e buona che però ha intrattenuto il popolo della rete e la politica per diverso tempo.
Sempre riguardo la Boldrini si vociferò dell’impegno della sorella Lucia nella gestione di decine di associazioni in difesa dei migranti con conseguente stipendio stratosferico, notizia perentoriamente smentita dalla stessa Boldrini che ha dovuto tristemente ricordare come la sorella non si fosse mai occupata di migranti quando era in vita visto che è venuta a mancare diversi anni fa. Un’altra bufala ma questa volta condita male riguarda ancora l’Italia e arriva dal Regno Unito, con il Guardian che millanta fantomatici poteri corrosivi a danno dei denti perpetrati niente meno che dal Prosecco, senza per altro motivare questa dichiarazione con alcun dato o prova attendibile.
Venendo al succo della questione, siamo davvero sicuri che le bufale rappresentino concretamente una minaccia per la libertà di voto oppure l’aut aut del New York Times è a sua volta una fake news e non vi è in realtà alcun tentativo di condizionamento dell’elettorato?
Tra fake news e disinformazione
La chiave di lettura è da rintracciarsi forse in un problema di ben altra natura, ovvero il diritto di essere informati e, parimenti, quello di informarsi. Forse si potrebbe obiettare a ciò dicendo che se persino enti internazionali che si occupano di cyber security si sono presi carico del problema significa che la minaccia è davvero tangibile e le democrazie a rischio. Eppure basterebbe così poco per verificare la veridicità di una notizia, ovvero informarsi quel tanto che basta per capire se ritenerla attendibile oppure no.
Se ogni singolo cittadino e utente della rete non si limitasse a prendere per vero tutto quello che legge ma si sforzasse di verificare lui stesso l’attendibilità della fonte ci saremmo probabilmente risparmiati il fenomeno fake news, o comunque lo avremmo ridimensionato. In merito alla sorella della Boldrini, ad esempio, sarebbe bastata una veloce ricerca in rete per scoprire della sua dipartita e quindi smascherare la bufala; idem per il caso del Prosecco corrosivo, sebbene il Guardian rappresenti una fonte assai autorevole e poco incline a divulgare false notizie. In questo caso la ragione della bufala è da rintracciare in cause di natura protezionistica vista l’imminente Brexit.
Quindi, ancora una volta, siamo di fronte all’atavico problema della disinformazione, la quale non esisterebbe se ci fosse maggiore informazione. E la responsabilità di informare è data dagli organi di stampa e dai mass media in generale, per non parlare poi della rete che ha la capacità di amplificare anche fenomeni altrimenti irrilevanti.
Il web è davvero così importante?
Morale della favola, sarebbe opportuno dotarsi di maggiore senso critico e di non prendere tutto ciò che si sente o si legge come verità assoluta, soprattutto se la fonte è di dubbia provenienza o non è verificabile. E se la disinformazione viene denunciata dal politico di turno che, come ben ci insegna il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che rivendica la paternità del termine “fake news”, allora la disinformazione non ci azzecca proprio niente e sarebbe meglio semmai parlare di pluralismo dell’informazione.
Se non si può parlare di disinformazione quando un organo di stampa esprime giudizi negativi sull’operato di un politico, allo stesso modo non si può parlare di rischio fake news quando viene dato troppo credito a un meme virale che circola sui social o quando sedicenti siti di “informazione” diffondono notizie non supportate da fonti. Forse dovremmo imparare a dare meno importanza alla rete rispetto a quello che siamo soliti fare, evitando l’insorgere di certi fenomeni virali che, con il loro carattere faceto, inibiscono le capacità di giudizio degli utenti (e degli elettori).