“L’ultimo Capodanno” è un film di Marco Risi del 1998 che sarà trasmesso questa sera sul canale 55 Sony come anticipo della festa più casinista dell’anno presente e futuro.
Tratto dal racconto “L’ultimo capodanno dell’umanità ”, edito nel 1996, dello scrittore ex-cannibale Niccolò Ammaniti e trasformato in sceneggiatura da egli stesso e dal regista racconta le folli vicende che s’intrecciano durante quella notte in un comprensorio borghese di Roma, “Le isole”, situato sulla via Cassia.
La voglia iconoclasta di sbertucciare gli eterni vizi italici (non si dimentichi che Marco Risi è il figlio del grande Dino, autore di uno dei capisaldi della nostra commedia: “I mostri”) con un surplus di ferocia fino ad allora inedita nella nostra tradizione cinematografica è evidente quindi sin dagli intenti.
Recensione de “L’Ultimo Capodanno” di Marco Risi
Sembra altrettanto ovvia la forma preposta a tale scopo: un racconto corale che non faccia prigionieri andando a demolire figurativamente sia il ceto ricco che quello più povero, sia gli avvocati cinquantenni che una volta chiusa la porta dello studio nascondono perversioni fetish che i giovani senza futuro pronti a sniffare qualunque cosa capiti loro sotto mano.
Insomma, un film grottesco spinto sul pedale dell’acceleratore. L’ambizione resta però sulla carta, rovinata in primis da una mancanza di ritmo che ai tempi ne decretò un clamoroso flop commerciale. L’opera di Risi fu infatti ritirata dalle sale dopo soli tre giorni di programmazione e venne riproposta solo un anno più tardi con l’aggiunta di qualche scena comica.
La scelta di concentrarsi su numerose ed eterogenee sottotrame che non s’intersecano quasi mai affonda proprio nel rischio maggiore di questo tipo di operazioni: alcune vicende sono francamente imbarazzanti per la loro vacuità (c’è qualcuno che davvero si sconvolge per il fatto che Alessandro Haber si faccia pisciare addosso dalla dominatrice?), altre sono tirate per le lunghe (Beppe Fiorello gigolo per contesse tardone), altre semplicemente non fanno ridere (tutto il segmento sulla famiglia di Piero Natoli).
Il tentativo d’imbastardire il cinema italiano con elementi pulp del cinema anglosassone perde validità proprio per questo suo carattere sperimentale: si ha la sensazione di vedersi calata dall’alto una mannaia ideologica dimenticando che in realtà quelle esagerazioni ciniche sono figlie della nostra commedia all’italiana mai tenera con i propri protagonisti/spettatori.
Si veda ad esempio la scelta di convogliare solo sul finale la follia e l’esagerazione grand-guignol delle varie storie. La volontà d’annichilire quell’umanità derelitta con un’ultima esplosione è una scelta di cinismo fin troppo facile che marca ancora una volta la fastidiosa presa di distanza dell’autore dai mostri italici di fine millennio. Ultima considerazione un po’ fuori contesto: che lo stesso regista nella locandina abbia cercato di attirare le attenzioni sessuali del pubblico mettendo in primo piano la procace Monica Bellucci è operazione commerciale alquanto deprecabile.
Ma che “L’ultimo capodanno” sia conosciuto su Internet quasi esclusivamente per quel nudo frontale (perfino i giapponesi!) fa temere che l’esistenza della Nemesi non sia solo un mito.