La questione Brexit si sta trasformando sempre di più, nelle mani del primo ministro Theresa May ma anche agli occhi dei milioni di britannici, in un tunnel di cui non si riesce nemmeno ad immaginare la fine. La proposta della May, alla quale si era giunti dopo faticose trattative con Bruxelles, è stata per ben due volte respinta dalla maggioranza del parlamento inglese. Benché pare attualmente scongiurata l’ipotesi di un’uscita senza accordo, che si sarebbe materializzata al 31 marzo, non è ancora dato sapere quale futuro attenda la Gran Bretagna. Quali sono gli scenari possibili?
Per comprendere i motivi che hanno condotto al fallimento collettivo del Brexit è sufficiente leggere i punti salienti dell’accordo che la May aveva raggiunto con l’UE. In sostanza, per la Gran Bretagna si prospetterebbe il mantenimento dell’unione doganale con l’Europa, tanto in termini di merci quanto sul piano finanziario, per un tempo indeterminato. Un’opzione che i sostenitori della Hard Brexit hanno fin da subito considerato un tradimento del risultato referendario. Un’opzione, altresì, che non è piaciuta nemmeno ai laburisti Pro-UE, per i quali un’ipotesi del genere rappresenterebbe un non-senso (a questo punto, sarebbe meglio restare). Perché la May non è riuscita a fare meglio? Chiaramente, l’accordo era espressione della volontà tedesca. La Germania, come ormai è arcinoto, adotta da anni una politica mercantilista, che punta tutto sulle esportazioni, specie nell’area Euro. È evidente come un’Inghilterra svincolata totalmente dai parametri UE (che comunque la Germania viola ripetutamente da 20 anni) costituirebbe un problema non da poco per l’export tedesco. Ecco quindi che l’esca offerta alla May, a cui il primo ministro ha allegramente abboccato, si presentava come molto buona per la Germania, che a Bruxelles gioca praticamente da sola. In Inghilterra, però, le cose sono andate diversamente rispetto a quanto previsto.
Sia a Gennaio che a Marzo, l’accordo è stata cassato. Nonostante le minacce relative ad un possibile No-Deal, gli oppositori della May hanno deciso di non chinare il capo. L’Europa ha concesso altro tempo, consapevole che il bluff di un mancato accordo non avrebbe retto ulteriormente. I problemi economici si intrecciano con le questioni di confine, soprattutto con l’Irlanda del Nord, un tasto molto delicato dalle parti di Westminster. I conservatori sono divisi tra chi procederebbe ad un tentativo di accordo e chi, ad un certo punto, penserebbe di far saltare il banco. Divisi sono però anche i laburisti, che già all’epoca del Referendum non seppero mantenere una reale compattezza. La vecchia maggioranza del partito è assolutamente europeista, mentre il leader Jeremy Corbyn sconta un passato da euroscettico che non lo ha mai del tutto abbandonato; la base è altrettanto spaccata, con gli operai del centronord che, tre anni fa, diedero il voto decisivo per far pendere l’ago della bilancia verso l’uscita.
Ad oggi, comunque, i Laburisti non scarterebbero l’opzione di un nuovo Referendum, ma devono prima saggiare l’umore dei loro elettori, che potrebbero non accettare un passo indietro di questa natura. L’economia, intanto, non ha presentato nessuno degli sconquassi che ci si attendeva, almeno dando credito alla stampa mainstream. È chiaro, tuttavia, che la perduranza di questo stalla non costituisce il miglior viatico possibile per la Gran Bretagna. Sabato c’è stata a Londra una manifestazione senza precedenti da parte di chi chiede un altro Referendum; i numeri sono stati importantissimi, circa un milione i partecipanti che si sono ammassati nella capitale, il cuore pulsante dei remaineers. Non sarebbe la prima volta che sconfitta alle urne, l’Europa otterrebbe l’occasione di rifarsi. La partita è ancora aperta e verosimilmente lunga da giocare.