Nuova bordata di critiche proveniente dall’estero nei confronti di Luigi Di Maio: dopo il servizio della BBC e la protesta degli studenti dell’università di Harvard, questa volta è il New York Times a prendere di mira il candidato premier, rappresentante del Movimento 5 Stelle. L’articolo scritto da Beppe Severgnini, noto giornalista italiano dal 2013 in forze al Times, evidenzia le lacune curricolari di un uomo che, potenzialmente, potrebbe governare l’Italia da marzo 2018. Forti i dubbi espressi sulle reali capacità di Luigi Di Maio, classe 1986, drammaticamente in difficoltà con la lingua inglese e completamente allo sbando quando si tratta di gestire il congiuntivo, anche nei colloqui più informali.
La stoccata del Times
“Anche se non ha mai completato i suoi studi e non ha mai fatto un vero lavoro, il signor Di Maio sarà il candidato del partito a marzo per primo ministro. I sostenitori di cinque stelle sono chiaramente come lui, ma il resto dell’Italia è perplesso. E ‘ completamente inesperto. Quando hanno avuto la possibilità di gestire le situazioni, i “Grillini” si sono spesso dimostrati incompetenti. Sotto il sindaco Virginia Raggi, per esempio, Roma sta andando nello scarico.”
Parole dure, quelle usate dal New York Times, che non risparmia nemmeno l’elettorato del Movimento 5 Stelle nè l’amministrazione Raggi. A dare grande risalto all’articolo, Marco Marsilio, esponente di Fratelli d’Italia, che dopo aver condiviso la citazione, scrive: «Tutto il mondo se ne è accorto ora tocca a noi! Al ballottaggio per il Municipio 10: Picca Presidente!».
L’articolo ha creato grande stupore tra gli elettori, arrivando a far credere a tanti che si trattasse di una fake news, un attacco studiato per colpire l’immagine dell’esponente pentastellato. Quel che dovrebbe lasciare sbigottiti è pensare che nel 2017, un giovane di 31 anni, ignaro dei sacrifici e degli sforzi che si celano dietro il raggiungimento di un attestato di laurea, ignorante nella lingua inglese e che non ha idea di cosa sia il mondo del lavoro, possa credere di interfacciarsi (con traduttore al seguito) con i vari capi di Stato, alla guida di una nazione complessa e travagliata come la nostra.