E’ disponibile in tutte le librerie italiane dallo scorso 17 marzo “Il rullante insanguinato”, il nuovo romanzo noir di Lele Boccardo, già autore del fortunato romanzo “Un futuro da scrivere insieme”, giornalista e critico musicale per prestigiose testate musicali e di spettacolo italiane. Abbiamo incontrato per voi lo scrittore, che ci ha rilasciato un’appassionata intervista nel quale ci racconta del suo libro e della sua grande passione per la musica.
Come descriverebbe “Il rullante insanguinato” il suo autore?
“Lo potrei descrivere in una sola parola molto semplice: credibile. Ho cercato in tutte le maniere, e spero proprio di esserci riuscito, di creare una storia con personaggi veri senza ricorrere troppo alla fantasia. Ho attinto al mio campo, quello della musica, che conosco meglio. Era da un po’ di tempo che avevo intenzione di scrivere un romanzo con della suspense, che poi da thriller si sia trasformato in un noir, grazie ai consigli del mio editore il dottor Piero Partiti, è un dettaglio, la tensione c’è lo stesso”.
Come mai la scelta di ambientarlo nella sua città, in Piemonte e in Liguria? C’è un motivo particolare?
“Perchè sono i posti che conosco meglio, io sono nato e ho vissuto a Torino per quasi cinquant’anni e considero la Liguria, in particolare la riviera di ponente, un po’ la mia seconda casa. Mi sembrava giusto ambientarlo qui, lo considero un tributo a dei posti che amo molto”.
Al centro della storia ci sono le Tribute Band, troppo spesso considerate come cloni e per una volta messe in primo piano, quali sono a suo parere le cover band italiane più interessanti?
“Sicuramente quelle che ho citato nel romanzo, mi piace ricordarle tutte in ordine di apparizione: GliSplendidi di Torino che tributano Jovanotti, i Solid Rockers di Imperia che omaggiano i Dire Straits, i Ghost in the machine di Torino omaggio a Sting e i Police, gli Oronero di Torino tributo ufficiale a Ligabue, i Bad medicine di Lodi che tributano i Bon Jovi ed, infine, La combricola del Blasco di Imperia che omaggiano Vasco Rossi. Quando si è trattato di creare la storia, ho pescato in quelle che ho recensito durante il mio lavoro di giornalista. Da anni scrivo per il giornale Civico 20news, di cui ho il piacere di essere vice direttore, e curo una rubrica che si chiama ‘iTRUBUTE’, dove mi occupo di questo fenomeno. Non li considero dei cloni, ma dei musicisti che devono studiare i brani ed eseguirli uguali all’originale, questo non è facile, soprattutto per chi canta. Ci vuole una grossa preparazione alle spalle, quindi ho massimo rispetto per tutti coloro che affrontano il pubblico tributando gli artisti”.
Ne “Il rullante insanguinato” si rende giustizia anche alla figura del batterista, a volte considerato un ruolo marginale all’interno di una band, quali sono i suoi riferimenti sia italiani che internazionali?
“In Italia sicuramente Franz Di Cioccio, storico fondatore della PFM, mentre in Inghilterra non può essere altri che Phil Collins, sia nei Genesis che come solista, ed oltreoceano il compianto Jeff Porcaro dei Toto, uno dei più grandi fashion men della storia della musica”.
Da cosa nasce la sua passione per la batteria?
“Sono cose naturali che vengono spontanee, fin da bambino cominci a scuola a picchiettare con le matite sul banco, prendendoti i rimproveri della maestra, poi ho cominciato ad ascoltare la Hit Parade di Lelio Luttazzi, già da allora avevo un occhio di riguardo per la ritmica. Mi è piaciuta la batteria, ne ho fatto il mio strumento, forse perché ho sempre avuto uno spiccato senso del ritmo”.
La prefazione del libro è stata curata da Andrea Mingardi e Maurizio Scandurra, che tipo di valore aggiunto hanno saputo dare entrambi al romanzo?
“Per me è stato un grande onore. Maurizio Scandurra è uno dei più grandi critici musicali italiani, un caro amico che mi ha onorato con le bellissime parole. La prefazione di Andrea Mingardi, invece, è un po’ piovuta dal cielo, ma entrambi hanno centrato sotto aspetti diversi il senso del libro. Un valore aggiunto ed una soddisfazione per me leggere sulla copertina i loro nomi, come sono onorato anche della postfazione di Valerio Liboni dei Nuovi Angeli, il musicista torinese per eccellenza, ed il mio editore Piero Partiti. Evidentemente a queste il romanzo è piaciuto ed hanno voluto onorarmi con queste perle, che mi hanno reso contentissimo”.
Tra i prossimi suoi impegni, ci sarà a maggio la 30esima edizione del Salone del Libro di Torino. Ci sono altri appuntamenti in programma?
“Il Salone del Libro sarà sicuramente elettrizzante, perché sarà per me un doppio coinvolgimento, da un lato il mio lavoro di giornalista e poi toccherà per una volta anche a me stare dall’altra parte del tavolo. Un’esperienza sicuramente incredibile e colgo l’occasione per ringraziare ‘Sillabe Di Sale’, la mia casa editrice, che è riuscita ad ottenere lo spazio per la presentazione, cosa non facile perché ci sono migliaia di richieste, un grande risultato sia per me che per il mio editore. Appuntamenti in programma ce ne sono tantissimi, per essere sempre aggiornati vi invito a mettere ‘mi piace’ alla pagina Facebook ufficiale de ‘Il rullante insanguinato’, dove pubblichiamo tutti gli eventi in calendario”.
Come già detto, lei è anche un critico musicale, che direzione sta prendendo la musica italiana? Fenomeni come l’avvento del rap o l’onnipresenza dei talent show, sono destinati a durare nel tempo?
“Sta prendendo una direzione bruttissima, secondo me. Il rap non è un fenomeno che seguo perché relativamente circoscritto, anche se bisogna fare una distinzione da quello patinato e commerciale a quello background e minore, sviluppato sui social, che purtroppo non ha lo spazio per poter farsi conoscere dal grande pubblico. Il resto della musica abbiamo visto negli ultimi tre Festival di Sanremo, targati Carlo Conti, dove sta andando. Gente che arriva dai talent, buttata allo sbaraglio, senza preparazione e senza gavetta, successi quanto mai effimeri che lasciano il tempo che trovano. Mi auguro ci sia decisamente un’inversione di tendenza, che si torni a fare musica nel vero senso della parola con artisti nel vero senso della parola”.
Il futuro della musica è, come dicono, davvero nel mondo del web o la televisione e le radio resisteranno all’avvento dei social network?
“Mi auguro di si, soprattutto per le radio, che secondo me rimangono il metodo migliore per ascoltare musica, ma anche la dimensione live, che per me è la più importante. La musica bisogna sentirla e farla dal vivo, un termometro che ci dice se davvero un artista merita di andare avanti. Ci sono artisti che fanno dei numeri impressionanti come visualizzazioni su YouTube, ma che poi non vendono nemmeno cinquecento biglietti in un locale a Milano, perché il pubblico di internet è diverso di quello che va ai concerti”.