Si terrà a fine maggio il referendum che potrebbe sancire l’abrogazione dell’emendamento numero 8 della Costituzione irlandese e revocare così la clausola che stabilisce la parità di diritti di madre e feto, rendendo l’aborto di fatto impraticabile in territorio irlandese.
L’Irlanda, patria del terziario high-tech, Paese in cui il 62% della popolazione si è espressa a favore del matrimonio gay e che ha un primo ministro, Leo Varadkar, omosessuale e di origini indiane, pare essere ancora divisa su di un tema che per la maggior parte degli altri paesi d’Europa costituisce un diritto scontato.
È stato proprio Varadkar, a capo del governo di minoranza conservatore guidato dal partito Fine Gael, ad ufficializzare qualche settimana fa l’attesa consultazione, notando che nessun irlandese al di sotto dei 52 anni ha mai avuto la possibilità di esprimere la propria preferenza su di un tema così fondamentale. E considerando come è cambiata l’isola durante gli ultimi decenni, ci si aspetta che il voto di maggio dia un risultato differente rispetto a quello di 30 anni fa.
Irlanda: mix di emancipazione, tradizione e cattolicesimo in rapida trasformazione
La sopravvivenza del divieto all’aborto, valido anche in caso di stupro, incesto o malformazione del feto, è un dato indicativo per capire un Paese estremamente diviso tra passato e modernità, un Paese in cui il generation gap, così come quello tra città e provincia, sono forti e in cui la Chiesa Cattolica ha un influenza profonda sulla vita e sul discorso pubblico. Per darne una misura: solo la settimana scorsa si è deciso di rendere l’insegnamento della religione cattolica, che tradizionalmente prevede 30 minuti di lezione al giorno, opzionale in alcune scuole pubbliche (meno della metà).
Nonostante i sondaggi diano in testa i “pro-choice”, i cittadini favorevoli all’aborto, il margine di differenza tra le due fazioni potrebbe essere molto più scarso rispetto a quello del referendum sul matrimonio omosessuale, rendendo il risultato meno scontato di quanto possa sembrare.
Interruzione della gravidanza in Irlanda e in Europa
L’emendamento 8 del 1983 sanciva il divieto totale e in qualunque circostanza all’interruzione della gravidanza in Irlanda. Nel 1992 la Corte Suprema aveva introdotto un nuovo emendamento che prevedeva la possibilità di abortire nei casi di pericolo estremo per la vita della gestante, ma semplicemente permettendo di praticare l’aborto all’estero, quindi di fatto senza cambiare lo status quo, ma istituzionalizzando una pratica già molto diffusa tra le irlandesi.
L’anomalia della situazione irlandese nel modo così detto occidentale portò la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a sentenziare l’Irlanda nel 2010, chiedendole di modificare la costituzione, modifica che venne apportata nel 2013. Oggi l’aborto è ammesso in territorio irlandese in casi di estremo pericolo per la vita della donna, compresa la tendenza al suicidio (stato però difficilissimo da provare).
Solo due Paesi in Europa hanno una legge sull’interruzione della gravidanza più severa: lo Stato del Vaticano (scontato) e Malta, Paesi in cui l’aborto è completamente vietato. In Irlanda, Irlanda del Nord, Andorra, Liechtenstein e San Marino è consentita solo in casi estremi di pericolo per la madre mentre la Polonia sta lottando per evitare una restrizione del diritto all’aborto, già comunque ammesso solo in determinate circostanze.