Alle ore 19 si chiuderanno le urne del Referendum consultivo in Macedonia sul cambio del nome, l’entrata in Unione Europea e nella NATO. Un mega-referendum che comporta scelte molto difficili e complesse che potrebbe essere bocciato dalla popolazione tramite il voto ma soprattutto tramite l’affluenza.
Per essere valido, il referendum deve raggiungere il quorum del 50% dei votanti, obiettivo molto ambizioso se si pensa che alle 17, a due ore dalla chiusura delle urne, la partecipazione era del 28,8%, difficilmente in due ore – secondo le ultime proiezioni – si raggiungerà il quorum.
#MacedoniaL'affluenza alle ore 17, a due ore dalla chiusura dei seggi, si attesta al 28.83%.Difficile a questo punto…
Gepostet von Election Day am Sonntag, 30. September 2018
La consultazione è stata boicottata da molti partiti e movimenti, specialmente negli ambiti della destra. Vediamo quali sono i quesiti e cosa comporta il voto di oggi.
Referendum Macedonia: il nome conteso tra due stati
Una storia lunga vent’anni quella tra Grecia e Macedonia, due nazioni confinanti che non hanno mai intrattenuto buoni rapporti proprio per il nome del piccolo stato balcanico. Quando la Macedonia faceva parte dell’URSS il suo nome era Repubblica di Macedonia, lo stesso nome di una regione della Grecia settentrionale.
I greci hanno quindi sempre incolpato i “macedoni del nord” di essersi appropriati di un pezzo di storia che in realtà riguardava il mondo greco. Per questo, quando la nazione è entrata nelle Nazioni Unite nel 1993 si adottò il nome attuale FYROM ovvero Former Yugoslav Republic of Macedonia. Un nome che ora più che mai sembra anacronistico. Così, tra mille proteste, il governo di Alexis Tsipras ha concordato con il governo macedone di cambiare il nome dello Stato, permettendo così di entrare nell’UE e nella NATO senza opporre veto.
Il nome sarà “Repubblica della Macedonia Settentrionale”, il governo ha invitato i cittadini a votare facendo molta propaganda, mentre le opposizioni hanno invitato a disertare le urne, e sembra funzionare. Nonostante ciò il processo potrebbe non fermarsi: se la maggioranza trovasse altri sette voti in parlamento potrebbe riuscire a ratificare l’accordo.