Un gruppo di scienziati dell’istituto di ricerca Max-Planck di Lipsia si sta preparando per un esperimento inedito che potrebbe rivelarci molto su uno dei nostri antenati più diretti: l’uomo di Neanderthal.
Ma non solo, anzi molto di più: dal confrontando tra il cervello dell’uomo moderno e quello dell’Homo Neanderthalensis gli scienziati sperano di capire quali sono le caratteristiche che rendono l’Homo Sapiens diverso dalla sua versione evolutivamente più prossima.
O, da un punto di vista più filosofico: qual è la caratteristica cerebrale che ci distingue e quindi definisce come specie?
Di che esperimento si tratta?
Partendo da cellule staminali, a cui è stato aggiunto del DNA estratto da frammenti di ossa di uomo di Neanderthal, gli scienziati di Lipsia, sotto la guida del paleogenetista Svante Pääbo, coltiveranno così detti organoidi cerebrali.
Gli organoidi sono una specie di cervello in miniatura, incapace di provare sensazioni o sentimenti, ma in grado di imitare le strutture e il funzionamento del cervello adulto. Dall’osservazione delle sinapsi e della divisione cellulare che ha luogo negli organoidi, e dal successivo confronto con gli stessi fenomeni nel cervello umano, sarà possibile postulare nuove teorie su chi fosse veramente l’uomo di Neanderthal (come percepiva il dolore o come utilizzava il linguaggio) e perché il nostro progenitore è scomparso dalla storia, mentre l’uomo si è riprodotto in miliardi di esemplari e ha creato quella che chiamiamo cultura.
L’uomo di Neanderthal non era poi così “preistorico”
Recenti studi hanno dimostrato che fu l’uomo di Neanderthal, e non il Sapiens, il primo artista preistorico: la scoperta di alcune nuove pitture rupestri risalenti a circa 65.000 anni fa, e ritrovate in una zona che l’Homo Sapiens raggiunse solo migliaia di anni più tardi, rappresentano una prova convincente della vocazione artistica del progenitore dell’uomo moderno.
Nel 2010 inoltre, sempre sotto la guida del Professor Pääbo, era stato per la prima volta possibile estrarre il genoma di uomo di Neanderthal da alcuni fossili. Questo rivoluzionario risultato aveva permesso ai ricercatori di scoprire che uomo Sapiens e di Neanderthal si ibridarono (ovvero: vi furono coppie miste di Sapiens e Neanderthalensis) e che parte del genoma del nostro antenato è ancora presente nel patrimonio genetico dell’uomo moderno.
Capire perché una parte di questo genoma non sia stata ereditata (che svantaggi comportava?) è un’altra delle tante domande che si pone il nuovo studio.
Quello che ci separa dall’uomo di Neanderthaler è la pazzia?
La prima divisione tra Homo Neanderthalensis e i progenitori dell’uomo moderno avvenne circa 400.000 anni fa, quando un gruppo consistente di ominidi lasciò l’Africa per spostarsi in Europa ed evolversi nella nuova specie conosciuta come uomo di Neanderthal.
Più di 300.000 anni più tardi, una migrazione di massa di Sapiens dall’Africa verso nord portò i due gruppi a incontrarsi di nuovo e, come dimostrano gli studi, a convivere e ibridarsi. La scomparsa dell’H. Neanderthalensis, che uscì dal palcoscenico evolutivo in un periodo di tempo relativamente breve, rimane ancora un mistero per gli scienziati.
Alcuni di questi ipotizzano che i due si siano fusi in un’unica specie. Altri, tra cui Pääbo, non sono d’accordo: per quanto l’H. Neanderthalensis fosse molto più sofisticato di quanto immaginato fino a pochi anni fa, i reperti sembrano dimostrare che, al pari degli altri primati, fu un essere molto prudente e ragionevole, quindi con differenze cognitive decisive rispetto all’H. Sapiens: nessun H. Neanderthalensis pare fosse così folle da creare una macchina galleggiante, anche detta nave, e avventurarsi su di una sterminata distesa d’acqua, anche detta oceano, senza vedere un’altra riva, e nemmeno sapere se esista, solo per il gusto della scoperta. Noi sì. E anche di peggio.