Abbiamo incontrato per voi Rodolfo Seragnoli, meglio conosciuto con il nome d’arte di Rudeejay, giovane artista bolognese che ha da poco lanciato il nuovo singolo intitolato “Under the same sky”, distribuito dallo scorso 14 aprile dalla Universal Music.
Ciao Rodolfo, cosa rappresenta “Under the same sky” in questo preciso istante della tua vita e della tua carriera?
“Lo scorso anno ho smesso di essere un ventenne compiendo 30 anni, ho sempre pensato che questo comportasse un passaggio da ragazzo ad uomo, indipendentemente da luoghi comuni o frasi fatte. Ho sentito la necessità di trasportare questa maturazione all’interno della mia musica, per questa ragione lo considero ad oggi il mio brano più profondo. Il fatto che il pezzo sia uscito con una major, la Universal Music, per me è un traguardo importantissimo”.
Nel pezzo si parla di relazioni a distanza, dal tuo punto di vista, il web in genere ed i social network nel dettaglio, hanno contribuito alla crescita di questo “fenomeno”?
“Assolutamente si, lo hanno reso attuale più che mani, mettendolo sotto una luce in passato impensabile. Una volta ci si conosceva e ci si teneva in contatto tramite social network e derivanti, oggi le relazioni nascono direttamente tramite social ed app e, quindi, le relazioni a distanza si sono sicuramente allargate”.
Al brano hanno collaborato con te quattro musiciste ed una cantante, com’è stato collaborare con sole donne?
“E’ stato molto interessante e stimolante. Sai, a volte si associa il termine ‘girl band’ alle Spice Girl vent’anni fa o alle Fifth Harmony oggi, non è il caso di queste musiciste, vere, che hanno suonato e cantato con estrema professionalità”.
Sei un figlio d’arte, anche tuo padre faceva il dj negli anni ’70. Ci sono punti in comune tra la musica che produceva lui e quella che realizzi tu oggi?
“Sicuramente, anche perché la cosa più divertente dell’essere figlio d’arte e che ne ero inconsapevole. Mio padre non mi aveva mai svelato questo suo ruolo, l’ho scoperto per caso quando ho acquistato il mio primo impiantino, con i soldi della paghetta messi da parte. Mio padre ha abbandonato subito negli anni ’70, perché si è trovato obbligato ad inseguire un altro tipo di professione. La cosa bella è proprio che rappresento per lui una sorta di rivincita, proseguendo quello che in realtà era il suo sogno da ragazzo”.
Una domanda che posso fare soltanto ad un esperto come te, da profano di questo universo musicale. In parole povere, qual è la differenza tra Dance, House e Techno?
“Secondo me, le etichette lasciano il tempo che trovano. Dal mio punto di vista l’importante è che faccia ballare e che rappresenti un punto d’incontro tra quello che è il gusto del deejay e quello che alla pista serve in quel preciso istante. Poi chiaramente posso farti uno schemino con le definizioni, è tutta una questione di battiti per minuto, un pezzo house ha un range di bpm che un pezzo techno non ha, ma entriamo in un discorso tecnico che non ne vale neanche la pena. La cosa importante è che arrivi la musica”.
Hai suonato sia in piccoli club che sui palchi dei più grandi Festival, che differenze hai notato?
“Sono due approcci completamente diversi, chiaramente la mia natura da deejay mi porta a ‘godere’ molto di più in un piccolo club, perché quel pubblico non mente. In un Festival molti sono lì per l’evento, puoi fare tranquillamente quello che ti pare e fare tuo lo show. Il piccolo club non perdona, se sbagli un disco la pista la svuoti”.
Qualche tempo fa hai aperto un concerto di Jovanotti, un artista che ama e spesso utilizza le sonorità che più ti rappresentano anche nelle sue produzioni. Cosa ci racconti di questa esperienza? “In quell’occasione ho deciso di non portare il mio stile, ma direttamente la mia vita su quel palco. Sapevo che quello non era il mio target, anzi non vedevano l’ora che io me ne andassi perché giustamente il pubblico aspettava Lorenzo, così ho portato un prodotto diverso da quello che propongo generalmente, mantenendo comunque la mia impronta, suonando brani che rappresentassero la mia crescita artistica, da “Push the feeling on” dei Nightcrawlers a “Halcyon on and on” degli Orbital, che è un brano per molti sconosciuto ma che considero il più importante e rappresentativo della mia vita”.
Anche se sei giovanissimo la tua esperienza è tale da potermi permettere questa ultima domanda: che consiglio daresti ad un giovane che coltiva oggi il sogno di diventare deejay?
“Da un anno a questa parte, la domanda più frequente che ricevo in posta privata sui miei social network é ‘come faccio a diventare famoso?’. Questo è l’approccio peggiore che una giovane promessa può avere oggi. E’ vero che deejay sono diventate le nuove rockstar, ma se tu ti avvicini a questo mondo solamente per la celebrità, i big like sui social e menate varie, hai già perso in partenza. Questo è un mestiere che richiede sacrificio, fatica, lacrime e sudore, l’unica cosa che può giustificare un percorso di questo tipo è l’amore, l’amore per la musica e non per la fama. Il consiglio che do ai miei giovani colleghi è proprio questo, se cercate la fama fate un altro mestiere, ci sono gli youtuber, i blogger, ecc ecc. Ho sempre detto: se lo fai per l’oro prima o poi ti stanchi, se lo fai per loro (inteso il pubblico) vivi ogni giorno con l’entusiasmo della prima volta”.