Storia della Cucina, i Banchetti celebrati dalla Poesia

Carmina non dant panem? È un vero piacere contrastare l’antico detto latino che condannava i poeti a morire di fame. Partendo dal presupposto che la poesia nacque per allietare i banchetti questo proverbio pare quasi un ossimoro. La tavola oltre ad essere tra i migliori luoghi per affrontare discussioni, consolidare relazioni e stipulare contratti è anche il fulcro attorno al quale ebbe origine l’epica, la melica, la satira giambica e l’elegia.

I BANCHETTI NELLA STORIA: SIGNIFICATO

Infatti, gli aedi, gli antichi cantautori, durante i banchetti regali cantavano le imprese degli eroi mitici, mentre durante i pasti nuziali intonavano la melica e la satira giambica e nel corso dei banchetti funebri l’elegia. Perciò la cornice conviviale dei piaceri della tavola, scanditi quasi come se fossero su uno spartito musicale dai brindisi dei convitati, è strettamente legata con l’arte della parola in quanto i carmina convivalia, carmi latini di età pre letterarie citati o intonati durante i simposi, costituiscono il nucleo di origine della poesia. Nonostante questo legame viscerale tra cibo e arte poetica, la letteratura l’ha scelto poche volte come centro di interesse, soprattutto per quanto concerne la preparazione delle pietanze, però in tali casi si tratta di memorabili opere d’arte, come La secchia rapita di Tassoni e Gargantua e Pantagruel di Rabelais, per non  dimenticare il Satyricon di Petronio.

I BANCHETTI E LA POESIA 

Questa esclusione dell’universo cibo all’interno dei testi eruditi aveva ovviamente come matrice la condizione materiale del cibo ed una filosofia che considerava nobile ciò che era pertinentea quanto apparteneva alla vita in su e meno nobile quello che si riferiva al resto, ovvero quello che era indirizzato alla vita in giù. Anche la considerazione della gola come vizio capitale ha il suo peso in questa sporadica presenza. I riferimenti gastronomici erano considerati impoetici. Il grande poeta simbolista italiano, Giovanni Pascoli, nel suo “romanzo georgico”, i Poemetti, fu tra i primi a sublimare nella poesia i riti della preparazione di pietanze, facendoli assurgere ad opere d’arte in quanto eseguiti con amore e maestria. Pascoli rievoca la frase di San Francesco d’Assisi il quale ha affermato: “Chi lavora con le mani è un operaio, chi lavora con le mani e la testa è un artigiano, chi lavora con le mani, la testa ed il cuore è un artista”.

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GOZZANO E I PROFUMI DELLA CUCINA

Per questo anche il  più umile commis di cucina o una semplice massaia se operano nell’officina del gusto con dedizione e passione si possono fregiare del titolo onorifico di artista. Il poeta crepuscolare Guido Gozzano si spinse ancora oltre il terreno tracciato dal Pascoli dei Poemetti, introducendo nella sua poesia anche i profumi inebrianti delle vivande. Il poeta torinese considerava l’Oriente la cuna del mondo, ne è una testimonianza la sua opera pubblicata postuma Verso la cuna del mondo. Questo mondo in cui viviamo può celebrare il ritrovo attorno alle tavole imbandite come la cuna della lirica.