Abbiamo incontrato ed intervistato per voi Gae Capitano, autore e musicista torinese che ha recentemente firmato alcune delle canzoni più apprezzate dalla critica, ma anche dal pubblico, tra cui “Tabula rasa” per Ilaria Porceddu e “Il Dio delle piccole cose” per il trio Gazzè-Fabi-Silvestri. L’artista ci ha raccontato la propria esperienza a servizio della canzone d’autore.
Ciao Gaetano. Partiamo con una domanda “semplice semplice”: come nasce una canzone?
“Esistono due filoni di pensiero: i grandi autori che scrivono prima il testo e poi cercano una musica che riesca ad accompagnarlo ed i grandi compositori che scrivono prima la musica e la completano con il testo. In realtà la formula che crea un capolavoro è quando le parole e la musica nascono insieme, una cosa difficile ma rappresenta il segreto della buona riuscita di una canzone”.
Sei autore di brani come “Tabula rasa” di Ilaria Porceddu e “Il Dio delle piccole cose” del trio Fabi-Gazzè-Silvestri. Come sono nate queste canzoni?
“‘Tabula rasa’ è un testo che ho scritto nel 2012, con il quale ho vinto il Premio Lunezia. Due anni più tardi l’ho fatto sentire a Francesco Gazzè, che lo ha preso, lo ha trasformato e dato ad Ilaria, che ha contribuito anche alla musica, tirando fuori il meglio di questa canzone. ‘Il Dio delle piccole cose’, invece, l’ho scritto nel 2013 ed ha girato su parecchie scrivanie per diverso tempo, fino ad arrivare tra le mani di Max Gazzè, Niccolò Fabi e Daniele Silvestri che lo hanno inserito nel loro album insieme. Un immenso regalo”.
Hai partecipato in veste di autore ai principali concorsi canori italiani, dal Festival di Castrocaro all’Accademia di Sanremo. A tuo parere, c’è qualità nelle nuove leve di oggi?
“A Settembre sono stato invitato alle selezioni del Piemonte di Area Sanremo e sono rimasto sconcertato dalla qualità che hanno i ragazzi, perché ho avuto la possibilità di ascoltare cose di livello altissimo. Mi piace fare spesso questa battuta, che suona più una provocazione: quando vado a Sanremo come opinionista, la musica migliore che ascolto è quella che sento dai ragazzi che improvvisano per la strada, perché lì viene fuori il vero talento e, paradossalmente, più professionalità di quella che viene portata sul palco dai cantanti in gara. Materiale buono c’è ma dovrebbe essere coltivato dalle case discografiche. Una volta Ron mi raccontava che ad un certo punto della sua carriera, in un momento di crisi di scrittura, la sua casa di produzione ha spesato un viaggio in America, volto ad ascoltare qualcosa che lo potesse ispirare. E’ impensabile ai giorni d’oggi una cosa del genere, ormai non si investe più su niente, ma è importante la filosofia e la fiducia che c’era all’epoca”.
Possiamo dire, dunque, che ad essere in crisi sia il mercato discografico e non il talento?
“Esatto. Sono davvero tanti i giovani di talento oggi. Tra questi cito Chiara Dello Iacovo, Roberta Di Mario, Luigi Mariano, Selene Capitanucci e Tiberio Ferracane. Il problema è che non ci sono più i discografici di una volta, persone come Mara Maionchi. Lei è un mio mito, ci siamo sfiorati parecchie volte, ma la stimo per la sua lungimiranza. Lei ha creduto in Tiziano Ferro, dopo anni in cui veniva sbattuto fuori da ogni concorso e manifestazione a cui prendeva parte. Una grande anima che quando ascolta un cantante si mette a piangere, per me dovrebbe essere d’esempio per tutti i talent scout di oggi, perché sa fare il suo lavoro e ci mette sempre il cuore“.
Dei nomi affermati, invece, chi apprezzi e con chi ti piacerebbe collaborare in futuro?
“Io non ascolto moltissima musica degli altri, l’unico disco che ascolto con piacere quando ho voglia di rilassarmi è “Certe piccole voci” di Fiorella Mannoia. Nella mia vita mi sono emozionato soltanto davanti a due artisti, lei e Maurizio Fabrizio. Amo anche Baglioni, che reputo inarrivabile, così come Fossati, Battiato e De Andrè. Mi piacerebbe lavorare con Renato Zero, Laura Pausini, Giorgia e Tosca, perché amo le persone che quando cantano sono in grado di trasportarti dentro ad un film”.
Che consiglio daresti ad un giovane autore che nutre la passione per la scrittura?
“Innanzitutto il segreto è scrivere per se stessi, secondo me, il primo passo per scrivere bene. Non ti nascondo che quando finisco un pezzo, spesso, mi emoziono. A volte, invece, è necessario avere un equilibrio ed imparare a dosarsi, perché non è detto che ciò che piace a te possa stuzzicare l’attenzione di altri. Infine, è sempre importante studiare, confrontarsi ed ascoltare gli altri”.
A tuo parere, i talent show incidono positivamente o negativamente sulla musica?
“Negativamente, perché sono troppo veloci. Si tratta di un catalizzatore chimico che accelera tutti i processi, i ragazzi vengono catapultati al grande pubblico spesso senza avere i numeri giusti per reggere”.
Il web, invece, rappresenta il futuro o la rovina della discografia?
“Sicuramente non rappresenta assolutamente il futuro. Il futuro, secondo me, è un passo indietro, perché in questo momento internet è troppo veloce e non ci concede il tempo di ragionare, è un mare dove galleggia tanta roba ed anche quelli bravi fanno fatica a riconoscere quello che c’è dentro”.
Rispetto alla musica internazionale, quella italiana: in cosa è avanti e in cosa è indietro?
“Avanti perché siamo degli inventori, da sempre, precursori soprattutto a livello melodico, Indietro, invece, perché scimmiottiamo quelli che all’estero fanno musica meglio di noi. Senza dimenticare che, nel nostro Paese, la musica non è vista come un bene culturale, una cosa assolutamente gravissima”.