Da Ornella Vanoni a Loredana Bertè, passando per Anna Oxa, Fiorella Mannoia, Laura Pausini, Eros Ramazzotti e Lucio Dalla, questi sono soltanto alcuni dei cantanti italiani che hanno incrociato sul loro cammino il talento artistico di Mario Lavezzi, grande conoscitore della musica a 360 gradi. Abbiamo incontrato il cantautore milanese che ci ha aperto le porte dei suoi ricordi, non mancando di esprimere il suo pensiero sull’attuale situazione discografica.
Maestro Lavezzi, inizierei col chiederle molto semplicemente: quando e come è nata la sua passione per la musica?
“Ero molto giovane, avevo tredici o quattordici anni, spinto da un momento storico memorabile, la gioventù degli anni ’60 veniva letteralmente travolta da qualsiasi nuovo fenomeno di costume, soprattutto a livello musicale. Diciamo che sono stato travolto come da uno tsunami”.
Nella sua vita si è dedicato per molti anni all’attività di autore, ma ha anche realizzato sette album da solista. E’ stato difficile riuscire ad alternare la carriera di autore a quella di cantante e in che modo ha selezionato i brani da tenere per sé e quelli da dare agli altri?
“Non si è trattato in realtà di mie scelte, è stato il tempo a decidere, andavo a periodi, in base al progetto che in quel momento stavo producendo. Parallelamente selezionavo anche delle canzoni da lasciare per me, per il mio repertorio. Ho sempre comunque scisso le due cose: quando ho lavorato per me, mi sono sempre concentrato con il massimo della professionalità e responsabilità, mentre con i miei dischi mi sono sempre molto divertito, senza pensare alle classifiche o ai risultati di vendita”.
Tra le più importanti canzoni da lei composte figura sicuramente “Vita” per Gianni Morandi e Lucio Dalla, cosa ci racconta al riguardo?
“Questo brano è stato scelto e voluto proprio da Lucio, nella mia vita non avrei mai potuto immaginare che uno come Dalla venisse a chiedere una canzone a me, perchè da solo ha scritto delle cose talmente straordinarie che non mi pareva vero. Lui ha sempre avuto una lucidità e un’intelligenza fuori dal comune, perchè era consapevole del fatto che la canzone che fa la differenza non nasce tutti gli anni, una consapevolezza che non tutti i cantautori hanno. Si possono scrivere mediamente canzoni di buona qualità, ma quella che rimane nel tempo ti viene fuori una volta ogni tanto. Per questo si era affidato a me e Mogol, o a Ron per ‘Attenti al lupo’, anche perchè era dotato di una capacità vocale straordinaria, che gli permetteva davvero di cantare qualsiasi cosa. In questo Lucio era un cantautore atipico e poliedrico, dotato di qualità vocali estreme oltre che di una grande umiltà nel mettersi addosso vestiti cuciti da altri”.
Lei ha prodotto alcune delle più importanti interpreti femminili del panorama italiano, da Loredana Bertè ad Anna Oxa, da Ornella Vanoni a Fiorella Mannoia, personaggi molto diversi tra loro ma, secondo lei, c’è un filo conduttore che le unisce?
“Sicuramente la capacità di comunicazione. Loredana non ha una tecnica vocale così eclatante, ma sa comunicare alla perfezione attraverso il canto l’emozione che in quel momento sta vivendo, stesso discorso anche per Ornella e Fiorella. Un pochino diverso era per Anna, che per un certo periodo si è troppo spesso più preoccupata di dimostrare le sue capacità vocali, sicuramente indiscutibili, dando meno peso a quelle interpretative”.
In pochi lo sanno, ma tra i brani che lei ha scritto per altri artisti figura anche un pezzo meno conosciuto di Laura Pausini, la cantante italiana oggi più conosciuta nel mondo, intitolato “Mentre la notte va” e contenuto in “Tra te e il mare” del 2000. Cosa ricorda di questa esperienza?
“Quando Laura mi ha chiesto una canzone, purtroppo, era uno di quei momenti in cui non avevo quella che possiamo considerale ‘la canzone che fa la differenza’, il brano giusto per un’interprete così importante. Le ho dato una canzone credo di un buon livello, ma senza quella marcia in più che le avrebbe permesso di diventare un singolo di grande successo”.
Come invece è successo con l’altro nostro artista più esportato, cioè Eros Ramazzotti, con “Stella gemella”?
“Esattamente si, anche se in quel caso io ho modificato una canzone che già esisteva, che mi avevano fatto ascoltare e che mi sembrava un po’ zoppa, come se le mancasse qualcosa per diventare un singolo di grande successo. Così l’abbiamo riguardata, modificata e devo dire che lo è diventata, non solo in Italia”.
Tra gli artisti che non abbiamo citato, chi ricorda con particolare affetto?
“Sicuramente Alessandro Bono, un ragazzo di una sensibilità straordinaria. Purtroppo ha fatto parte di un periodo un po’ scuro, in cui anche altri grandi della musica sono caduti, parlo del problema della droga. Un giovane che ha seguito esempi negativi e, di conseguenza, con lui non abbiamo fatto in tempo. Abbiamo realizzato insieme due album, alcuni singoli, due Festival di Sanremo e, come tanti altri personaggi di talento non è ricordato come meriterebbe”.
Infatti, ci sono tanti artisti dotati di grandi capacità, sia tra i più giovani che tra i più esperti, che sono stati letteralmente messi da parte e dimenticati dalla discografia, senza fare nomi perché ovviamente non sarebbe carino. Da produttore discografico, non crede che ci sia spazio per tutti? Nel senso: più si diversifica l’offerta e più il mercato si espande rispetto a proporre un solo tipo di musica?
“E’ giustissimo, infatti dovrebbe essere così. Purtroppo in Italia oggi manca la risorsa economica, dovuta alla scomparsa del disco fisico e al conseguente calo delle vendite, in questa maniera l’industria discografica si è ridotta a cavalcare le mode. Sono stato recentemente al Wind Summer Festival, dove ho sentito delle cose che mi hanno inorridito, sempre più spesso le canzoni sono incentrate sugli slogan e non più sui testi, seguendo in qualche modo il fenomeno di Rovazzi. Ormai è diventato un danno per tutti, perché sono cantanti che rubano spazio agli artisti, che ce n’è sempre meno. E’ diventata una rincorsa al fatturato usa e getta, facile da raggiungere ma difficile poi da mantenere nel tempo. Del resto è proprio l’uso che si fa della musica oggi ad essere frammentato, soprattutto se pensiamo a Spotify, e questo rispetto al passato rappresenta un danno enorme. Un cambiamento epocale che non si può contrastare, bisogna adeguarsi altrimenti si viene travolti dai tempi. Io non mollo, continuo a svolgere il mio mestiere di produttore e a credere nei miei artisti”.
Per concludere, qual è il suo personale consiglio per un giovane che cerca di emergere in questo mondo?
“C’è poco da fare, senza preparazione non si va da nessuna parte. I ragazzi di oggi, anziché partecipare ai talent show, dovrebbero culturizzarsi ascoltando ad esempio il repertorio di De Andrè e De Gregori. Ci vogliono esempi di grande qualità e spessore, non si possono seguire i cantanti del momento, ma bisogna andare indietro e scoprire quelli che sono stati i capisaldi. Questo è fondamentale, poi ci vuole tenacia e personalità, pensare che comunque ci si deve sempre perfezionare. In questo un esempio può essere Laura Pausini, che ha avuto la grande capacità di saper mantenere il suo successo, anche in termini internazionali, perché ha imparato quattro lingue e continua quotidianamente a fare ricerche, è un’artista che non si accontenta di quello che ha e non si adagia sugli allori. Questo rappresenta il vero segreto di un successo continuo, la curiosità di scoprire cose sempre nuove e di perfezionarsi”.