Se siete o avete adolescenti svezzati da Pornhub stasera potreste fare loro un rapido excursus storico sulla battaglia per la libertà sessuale di cui essi godono con il film in onda sul canale 55 Sony alle 23:25: “Larry Flint- Oltre lo scandalo”, di Milos Forman.
L’odierna saturazione digitale del sesso, alimentata da motori di ricerca che dispongono ancora di maglie larghe nonostante la loro sempre crescente funzione istituzionale, è stata ovviamente frutto di una lunga battaglia che ha visto pionieri altri mass-media.
Una vicenda che ben riassume alcune di quelle lotte giocate sia in punta di diritto che con vere e proprie stoccate sociali è appunto quella raccontata da questo film del 1996. Il regista Miloš Forman, per questioni personali da sempre attento alle libertà civili, racconta con apparente mancanza di filtri la storia del magnate della pornografia che ha creato dal nulla “Hustler”, rivista sessuale ben più esplicita delle più celebri rivali “Penthouse” e “Playboy”.
La sceneggiatura di Scott Alexander e Larry Karaszewski è divisa in due tronconi netti, separati da una cesura oltre che fattuale spiccatamente tonale. La prima parte del film si concentra infatti con esuberanza tipica del tema sul massiccio radicamento del mensile pornografico che trovò, quasi casualmente, la propria ragion d’essere in una triviale commercializzazione degli atti sessuali più spinti.
Come mostrato chiaramente in alcune scene del film Larry Flint spinse i fotografi a lasciar perdere fiori e boa colorati per concentrarsi esclusivamente sulle parti intime delle modelle. Più che una innovativa presa di coscienza dei desideri del pubblico quella dell’imprenditore libertino fu quindi un’intuizione sensuale basata sui propri appetiti inverecondi.
Insomma, materiale sconcio per pervertiti dichiarati che non dovevano avere più paura di nascondersi. Il film di Forman è però stranamente guardingo su questo punto lasciando che la furiosa performance sessuale del protagonista (6 volte di media al giorno, come dichiara il suo alter-ego filmico) si esplichi in casti siparietti e linguaggio colorito. L’unica deputata ad esagerare col nudo del proprio seno è Courtney Love, l’ex leader delle Hole che interpreta Althea, la quarta moglie del protagonista.
“Larry Flynt è un diavolo con le ali angeliche, una persona di una certa oscenità scontata, ma nello stesso momento di una nobiltà ammirevole”: così lo stesso regista ungherese descrive il magnate dell’industria pornografica. Anche da dichiarazioni come questa si può capire come l’approccio al personaggio sia stato sostanzialmente respingente e come questo si sia tramutato nella pellicola in una decisa voglia di non santificarlo.
Ed infatti la prima parte, quella che dovrebbe raccontarne gli exploit caratteriali/sessuali e al contempo dovrebbe servire come inevitabile polo d’attrazione delle simpatie dello spettatore, sembra girata di malavoglia, con un ritmo slabbrato che non permette di capire la personalità di Flint.
Anche la sua svolta religiosa è trattata con un grottesco superficiale, intento a generare banale comicità piuttosto che cercare di comprendere i reali motivi di quella crisi spirituale in un uomo che seppur d’origini campagnole (attaccato con lo sputo psicologico in questo senso il prologo) rileva un onesto attaccamento all’edonismo che l’evangelismo statunitense più gerarchico da parte sua non ha mai condannato. Il film corre così ben presto a rifugiarsi nella seconda parte nella più retorica battaglia legale che vide il buon Flint più volte scornarsi con le Corti d’America in merito alla battaglia sul Primo Emendamento, quello che legittima la libertà d’espressione sugli altri vari diritti.
Su questo punto Forman sembra bizzarramente far proprio la peregrina visione a stelle e strisce che mette a pietra angolare della propria costituzione civile la libertà del singolo (idiota) di poter comunicare in ogni (illegale) modo le proprie (stupide) idee. Le provocazioni incestuose apparse su “Hustler” non vengono mai scambiate per satira ma solo come diritto inalienabile del fondatore della rivista pornografica di poter dileggiare chiunque egli voglia.
Così l’insistenza processuale sulle sentenze che sanciscono il privilegio del ricco su un altro poco meno ricco di lui fanno deragliare il film verso una noiosa bagatella legale. Il biopic di Forman prova anche a giocarsi la carta dell’amore morboso tra Flint e la moglie. La caratterizzazione di Althea è però compiuta esclusivamente attraverso una carnevalesca sfilata di costumi sempre più variopinti che oltre a far sentire il peso di un decennio, i Novanta, dove le sceneggiature si limitavano a indicare i drammi esistenziali dei propri personaggi a misura del proprio look, danno modo alla Love di reiterare tutti quei tic da sciroccata drogata che la contraddistinguono anche dal vivo.
“Larry Flint- Oltre lo scandalo” è insomma un film che, come il porno, fa felice solo superficiali sensi: l’erotismo e l’appagamento sono lontano da qui.