Avrebbe potuto permettersi di fare una vita agiata perché figlia di un milionario americano e moglie di un avvocato, e invece si specializzò in plastici del crimine.
Biografia di Frances Glessner Lee
Nata a Chicago nel 1878 da una famiglia d’industriali che producevano macchine agricole, la International Harvester.
Ha avuto, sin dalla nascita, un triste destino: chiusa nell’immensa casa di famiglia, istruita privatamente sulle arti prettamente femminili quali cucito, ricamo e pittura per poi sposarsi con un avvocato, al quale diede tre figli.
Di fatto seguì pedissequamente ciò che le era stato destinato, fingendo un’esistenza felice e nascondendo la sua vera passione, ossia la patologia forense.
Il suo sogno sarebbe stato quello di frequentare la facoltà di medicina di Harward ma la morale di quei tempi non permetteva a una signorina di andare a scuola e acculturarsi, ma prediligeva la sottomissione nei confronti del marito e dei doveri casalinghi.
Nel 1914 divorziò dal marito e nei dieci anni successivi morirono tutti i membri della sua famiglia, perciò si ritrovò unica ereditiera di un’immensa somma di denaro.
Finalmente libera di fare ciò che voleva, a 52 anni riuscì a mettere in pratica i suoi sogni e avvicinarsi alla scienza criminologica.
L’inizio della sua carriera
La Lee era legata da una profonda amicizia con George Burgess Magrath, medico specializzato in casi di omicidio. Magrath si lamentava spesso di come gli investigatori inquinassero le prove sulla scena del crimine.
Il travisamento era per lo più dettato dal fatto che, a quei tempi, non esisteva una cultura del rispetto della scena del crimine, perciò parecchi omicidi rimanevano impuniti.
Nel 1931 donò un’ingente somma di denaro all’Università di Harward con lo scopo di fondare la cattedra di medicina legale e successivamente creò la biblioteca George Burgess Magrath Librasy. Non contenta, diede vita ad ‘organizzazione per il progresso delle scienze forensi, la Harward Associates in Police Science.
Ma la sua primaria attività fu di costruire diorami. Il suo lavoro consisteva nel realizzare piccole case delle bambole, in scala 1:12, riguardanti una scena del crimine, recuperando le informazioni dai referti di autopsie, testimonianze e rapporti della polizia.
Queste ricostruzioni erano perfette e dettagliate, con pupazzi perfettamente riprodotti, con sangue, tumefazioni o colori differenti causati dall’avanzato stato di decomposizione.
Il suo obiettivo era di far diventare i poliziotti dei veri e propri detective. Per farsi conoscere perciò organizzò dei seminari di una settimana in cui propose i suoi 18 plastici a studenti e poliziotti, i quali avevano a disposizione 90 minuti per risolvere il caso.
Un’innovazione straordinaria per quei tempi, perché finalmente i responsabili delle investigazioni avevano modo di studiare le scene dei crimini senza “sporcare” le prove.
Grazie al suo lavoro, nel 1943 Frances Glessner Lee fu nominata capitano ad honorem della New Hampshire State Police: fu così che divenne anche la prima donna a entrare a far parte della IACP (International Association of Chiefs of Police).
Nel 1962 Frances Glessner Lee morì ma i suoi fantastici e minuziosi lavori sono tuttora utilizzati a Harward per la formazione di specialisti forensi.
I Diorami di Frances Glessner Lee
Il suo perfezionismo e la volontà di ricostruire gli interni delle case riflettono il passato della macabra signora.
Suo padre era un avido collezionista di mobili raffinati ed era un appassionato delle storie di Sherlock Holmes, perciò la Lee non poteva che riproporre, nella sua nuova vita, dettagli d’infanzia.
Questi dettagli sono facilmente reperibili dal suo modo di vivere la sua seconda vita da single: retaggi d’infanzia costretta a giocare con le bambole, la spingono a utilizzare lo stesso gioco per riprodurre scene del crimine.
Un paradosso non indifferente: a suo modo ha voluto sottolineare l’idillio domestico sporcato da soprusi e violenza, in cui vittime e carnefici convivono, mostrando all’esterno un mondo perfetto.
Il suo essere stata “addestrata” a bambina per bene, l’ha portata a ribellarsi, una volta diventata grande, forse per dimostrare al mondo che la vita nelle mura domestiche non è sempre perfetta.