Il silenzio sa essere più rumoroso di mille parole. Dubbi, perplessità, disagi e insicurezze nascosti dietro un sorriso, il sorriso di un ragazzo di 20 anni con sogni, passioni e progetti e la cui vita è stata stroncata da un nemico mostruoso e invisibile: l’anoressia. Questo è il caso di Lorenzo Seminatore, morto di anoressia a 20 anni dopo una battaglia durata sei anni.
A raccontare la tragica notizia sono stati i genitori del ragazzo per “scuotere la coscienza delle istituzioni“, sottolineando come “ci sono altre famiglie che stanno vivendo il nostro calvario e che si sentono sole in questa battaglia”.
Psicologi, ricoveri in ospedale, comunità e tanto altro non sono bastati a salvare Lorenzo. “La tragedia di nostro figlio dimostra che di anoressia si può morire – affermano –. Bisogna affrontare il fenomeno, a iniziare dal punto di vista legislativo. Le strutture pubbliche non sono abbastanza e non c’è un sistema che sappia dirti a chi rivolgerti. È necessario mettere mano alla normativa, perché c’è un vuoto”.
Chi è Lorenzo Seminatore
Più grande di tre fratelli e con la passione per Roger Federer e per l’Inter, Lorenzo studiava e giocava a tennis in un circolo di Moncalieri, in provincia di Torino. Il suo calvario comincia a 14 anni, quando smette improvvisamente di mangiare: un “campanello d’allarme” a cui i genitori cominciano prestano attenzione.
La perdita di peso era evidente e i genitori avevano deciso di consultare vari specialisti, visite e centri di sostegno. Nel frattempo Lorenzo ottiene la maturità scientifica e si iscrive all’Università: filosofia prima, Scienze della Comunicazione dopo. “Dopo un periodo in un centro della Val D’Aosta sembrava rinato”, confessano.
Uscite con gli amici e la musica rap contraddistinguevano le giornate di Lorenzo, rinato. Il mostro, purtroppo, si è ripresentato settimane dopo. Un tira e molla doloroso ripetutosi diverse volte, spiegano i genitori di Lorenzo: “Negli ospedali si limitano a parcheggiarti in un reparto e a somministrare flebo per integrare il potassio. Poi ti rimandano a casa, sino al prossimo ricovero”. La situazione si è ulteriormente aggravata con la maggiore età: “A quel punto è diventato libero di decidere. Quando veniva ricoverato, firmava per essere dimesso. E così via”.
Una triste storia che deve far riflettere. I genitori hanno deciso di raccontare il loro dramma per denunciare le carenze del sistema di assistenza: “Le istituzioni devono fare qualcosa. Pensare a progetti di prevenzione nelle scuole, percorsi di sostegno alle famiglie e investimenti. Non tutti possono permettersi centri privati. Nessuno, in queste situazioni, dev’essere lasciato solo”.