Una biblioteca in stile banca, con doppio controllo, tornelli e telecamere all’ingresso. O una biblioteca libera, aperta. È tutto qui, in due mondi evidentemente inconciliabili, il senso del folle giovedì sera di Bologna, dove la polizia ha caricato un gruppo di studenti in una Università pubblica – la facoltà di Lettere e Filosofia al 36 di via Zamboni – e dove quegli stessi studenti, poi, hanno risposto con lanci di bottiglie, pietre e scontri con la celere.
Quelle scene di guerriglia urbana sono soltanto la punta di un iceberg fatto di scelte unilaterali del rettore di Unibo, Francesco Ubertini, e di risposte – a volte anche ripicche – degli stessi studenti. Tutto è iniziato quando al 36, cuore storico degli studi di Bologna, sono comparsi i tornelli all’ingresso. O meglio, quando sulla soglia dell’Università sono apparsi – in serie – due bussole di vetro con con doppia porta: la prima che si apre solo col badge dell’Alma Mater, la seconda che fa passare gli studenti soltanto quando l’altra si è già chiusa. Il tutto, con una telecamere fissa dall’alto a controllare chiunque entri. Una sorta di banca in piena regola, insomma. Proprio contro questa azione di forza del rettore – motivata da esigenze di sicurezza contro il degrado di piazza Verdi – i collettivi studenteschi, su tutti Cua e Làbas, mercoledì hanno smontato le porte in vetro e le hanno portate fino allo studio di Ubertini, in segno di sfida.
“Surreale, noi vogliamo aprire di più la biblioteca, da lunedì sino alle 24, rendendola accessibile col badge a tutti gli studenti, ma anche ai ricercatori e studiosi di tutto il mondo e a chi frequenta le biblioteche cittadine. – era stato il commento del prorettore, Mirko Degli Esposti -. Ma è chiaro che se non ci saranno le condizioni minime di sicurezza questo non potrà essere fatto”. “Va bene tutto, ma le biblioteche devono essere usate da biblioteche, questa poi era l’unica ancora senza controlli degli accessi”, aveva commentato Guglielmo Pescatore, presidente del sistema bibliotecario d’Ateneo. “Era diventata una situazione pesante, soprattutto alla sera, con l’ingresso di estranei. Così non si poteva andare avanti”, gli aveva fatto eco Francesca Tomasi, presidente della biblioteca.
Eppure, per gli studenti in un luogo pubblico, quale l’Università di Lettera e Filosofia, spazio per i tornelli non ce n’è. Così, giovedì mattina – quando il rettore ha fatto trovare le porte chiuse – i collettivi sono tornati alla carica e hanno occupato il 36, concentrandosi in biblioteca. Poi, proprio lì, nel tardo pomeriggio hanno fatto irruzione i poliziotti, che – con la forza – hanno liberato la struttura, nonostante la risposta delle ragazze e dei ragazzi presenti, che alla fine si sono radunati in corteo e hanno sfilato per i Viali fino a piazza Maggiore.
Gli scontri e le proteste, evidentemente, hanno segnato non poco Bologna. E proprio sulla pagina del Cua, uno dei collettivi più attivi, si susseguono pesanti botta e risposta tra le fazioni “pro” e “contro” tornelli. “Ma non vi vergognate? – scrive un ragazzo -. Lo studente è di per se un mantenuto sociale un parassita. Uno che non ha mai lavorato e andate pure in giro a rompere le cose pubbliche”. “Siete solo dei viziati che appena gli si nega il gioco nuovo giocano a fare i bulli”, il parere di un’altra giovane. “Voi non conducete lotte se non per il vostro interesse a mantenere attiva la vostra lotta antifascista che per rimanere viva ha bisogno di scontri e lotte a priori. Sono i vostri interessi e non avete il diritto di arrogarvi la rappresentanza di un corpo studentesco – il pensiero di un altro studente – che non vede violato alcun diritto. Le lotte che conducete sono solo le vostre”.
“La biblioteca è un servizio pagato da noi con le tasse universitarie ed è normale che ci possano entrare solo gli studenti a studiare e non questo Cua a fare bordello – un altro dei pareri dei ‘pro’ tornelli -. Io non la frequento perché la mia facoltà è in un’altra zona ma pare che la situazione fosse insostenibile visto che hanno preso questo provvedimento, in un articolo ho letto che trovavano le siringhe in bagno”. “Non importa se la celere carica in un’aula studio in perfetto stile cileno, ciò che conta è che non venga annullata una lezione. Questione di priorità”, risponde ironicamente un ragazzo a una sua collega che minacciava ritorsioni in caso di lezioni annullate per “colpa dei collettivi”.
“Una volta l’accesso al sapere e alla conoscenza apriva le menti e le illuminava – scrive uno studente -, donandogli, a volte, la capacità di migliorare il mondo. Vedo con profondo dispiacere dai commenti qui sotto che oggi la tendenza è decisamente cambiata. Avanti come capre, oggi i tornelli, domani le perquisizioni, dopodomani l’università la faranno solo coloro che se la possono permettere. E gli studentelli muti. Rispetto e solidarietà per chi lotta e non si piega all’ignoranza che ci circonda”.