Sembra che qualcosa si stia muovendo in Calabria, precisamente nella Piana di Gioia Tauro, Reggio Calabria, dove alcuni dei circa mille esemplari di bovini che girovagano liberi e provocano ingenti danni alle coltivazioni e alle proprietà di contadini sono stati catturati di recente da chi di dovere dopo quarant’anni di libera circolazione sul territorio.
Ma come mai queste vacche non sono state fermate prima? Nessuno le ha toccate fino ad oggi perché costituiscono il simbolo del dominio sul territorio della ‘ndrangheta. Un’omertà e una deferenza tali da mettere a tacere tutti quanti e da accondiscendere ai comportamenti illeciti della criminalità organizzata.
La faida tra i Raso e i Facchineri: come nasce il mito delle vacche sacre della ‘ndrangheta
La storia delle vacche comincia agli inizi degli anni Settanta quando due famiglie esponenti della criminalità organizzata di Cittanova (RC), i Raso e i Facchineri, appoggiati entrambi da altre famiglie del territorio, si fanno la guerra per questioni di furto di alcuni capi di bestiame e per il controllo territoriale che includeva anche il pascolo riservato alle rispettive mandrie.
La faida fu talmente sanguinosa e causò talmente tante morti da entrambe le parti, che i bovini vennero lasciati incustoditi e quindi liberi di circolare e di riprodursi per tutta la piana senza che qualcuno se ne occupasse. Da qui nessuno è intervenuto per decenni proprio per paura di mettersi contro di loro.
Conseguenze pericolose
Come in India, anche in Calabria, in questi ultimi quarant’anni, le vacche sono considerate sacre, quindi intoccabili e come tali nessuno ha tentato di catturarle. Le conseguenze di tutto questo sono evidenti in alcuni degli eventi più gravi: il 16 Ottobre 1987 e il 15 Ottobre 1992, giorni in cui due treni deragliano rispettivamente a Cittanova e a Taurianova.
In tempi più recenti le vacche sacre della ‘ndrangheta sono state riprese intente, indisturbate, a ruminare erba e fiori freschi nel cimitero di Varapodio, sempre in provincia di Reggio, seminando il panico.
Tentativi di ribellione alla sacralità delle vacche
Un caso di ribellione all’intoccabilità delle vacche riguardò l’oculista Fortunato La Rosa. Nel 2005 infatti decise di esporre denuncia contro i proprietari di queste vacche che invadevano i suoi terreni abusivamente rovinando il raccolto.
Non passò molto tempo prima che venissero presi provvedimenti e infatti poche settimane dopo La Rosa venne ucciso a Canolo a colpi di arma da fuoco. Nonostante tutti sapessero già il perché dell‘omicidio, solo nel 2015 si conclusero le indagini quando gli inquirenti scoprirono i mandanti (due esponenti dei Raso) e il vero movente dell’assassinio, ossia il suo tentativo di reazione all’illegalità.
Altro caso di ribellione è stato quello della marcia del Comitato “No Bull” che a dicembre 2017 ha sfilato per la prima volta nelle strade di Cittanova in segno di protesta contro l’abbandono delle vacche da parte delle cosche. L’intervento è avvenuto per far capire che l’opposizione agli illeciti della mafia è un dovere e la salvaguardia e l’incolumità delle persone e dei beni un diritto inviolabile.
Piano della Prefettura di Reggio Calabria
Il prefetto di Reggio Calabria Michele di Bari ha reso effettivo dalla metà di marzo un piano di trattamento delle vacche della ‘ndrangheta, in collaborazione con il Parco Nazionale dell’Aspromonte, che prevede la cattura, l’identificazione e la soppressione dei capi bovini in caso di cattiva salute sparsi per il territorio. Alcuni capi sono stati catturati e narcotizzati per poi essere trasportati in spazi appositi in attesa di controlli sanitari.
Ecco dunque i primi risultati per il ripristino dell’ordine e della legalità. Un gesto questo volto a significare la forte volontà delle istituzioni di dire basta ad un regime fatto di silenzi e assensi e una coesione nell’intento di sradicare questi tabù, una volta per tutte, da parte di tutti, pubblici e privati.