Al Macro di Via Nizza a Roma è in corso la mostra internazionale “Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains”, una retrospettiva cronologica sui cinquant’anni di carriera della band britannica che ha segnato un’epoca. L’esposizione si propone di raccontare non solo la storia della band ma anche del contesto culturale degli anni 60 con dipinti, installazioni ed opere di varia provenienza.
La loro storia è scandita per album, teche e schermi interattivi dedicati ad ogni LP pubblicato (da The Piper at the Gates of Dawn fino a The Endless River): curiosità e aneddoti noti impreziosiscono la collezione. La mostra si apre con le note taglienti del riff di Interstellar Overdrive e ha in coda tre grandi sale dedicate ad altrettanti capolavori: Wish You Were Here, The Dark Side of the Moon e The Wall.
La visita è accompagnata da un’audioguida interattiva che riesce ad isolare lo spettatore e contestualizzarlo storicamente tramite un sottofondo musicale studiato; tramite le cuffie anche le voci dei grandi protagonisti del successo dei Pink Floyd: tecnici, grafici, compagni di viaggio.
Pink Floyd, una band eclettica e capace di continua innovazione
Il filo conduttore dell’esposizione, al di fuori di quello cronologico, è quello della straordinaria ecletticità artistica del gruppo. I Pink Floyd sono riusciti ad intercettare i desideri ed i sogni, spesso rabbiosi, di una generazione accompagnandola fino alla metà degli anni ’90. Hanno sperimentato il rock psichedelico degli anni ’60, il prog degli anni ’70 e il post rock degli anni 80-90. Loro hanno fatto, detto e sperimentato più di tutti. Sia musicalmente che scenicamente, arrivando nel tour di The Wall a scenografie da fantascienza.
Poi ancora, in mostra tutti gli strumenti usati in ogni periodo dalla band: partendo dalla leggendaria Fender Esquire con gli specchi di Syd Barrett per finire agli strumenti di avanguardia per l’epoca. “Quando era tutto manuale, saper usare determinati strumenti equivaleva a fare un concerto”, dice Gilmour in una delle sue interviste registrate per la mostra.
Il ricordo di Syd Barrett
È anche ricordata a più ripresa l’importanza che ebbe Syd Barrett nel gruppo, un personaggio spesso dimenticato ed ignorato dai molti, ma che secondo Waters: “ha dato il carattere alla band, senza di lui saremmo stati solo un altro di quei gruppi che scompaiono dopo una canzone di successo”. Un genio a modo suo che nella vita privata leggeva, dipingeva, suonava. Un genio che non ha retto il peso della sua musica e della prima celebrità.
Al capitolo Wish You Were Here non manca neanche il triste aneddoto che lo vedrebbe entrare ad Abbey Road mentre i suoi ex colleghi registrano l’album in un aspetto irriconoscibile. Poco, invece, è dedicato alla personalità degli altri Floyds, ma molto alla loro inventiva continua.
Bel tributo anche allo studio di grafica Hipgnosis, tra l’altro allestitore della mostra, per quanto riguarda tutto ciò che è stato legato alla comunicazione e alle copertine degli album che nella loro semplicità hanno fatto la storia. Un po’ surrealiste, un po’ minimaliste ma sempre innovatrici.