“C’era una volta un virus che imprigionò la popolazione mondiale tra le mura domestiche” sembra la frase iniziale di un film apocalittico, invece succede alle soglie del 2020 e, quando tutto sarà finito, i sintomi del coronavirus si tradurranno in una nuova percezione del mondo.
Abituati alla frenesia, al tutto e subito, al cibo gourmet, al benessere, al tram tram della vita che ci assorbe e non ci lascia il tempo di meditare, tutto ad un tratto ci ritroviamo in casa con le mani nelle mani.
I notiziari ci parlano di pandemia e ci mostrano le immagini di un minuscolo virus che si sta espandendo in tutto il mondo costringendoci a stare in casa.
Qualcosa nell’ingranaggio del mondo si è inceppato. All’improvviso quella che tutti vivevamo come normalità, fare una passeggiata, incontrare le persone care, ordinare un caffè al bar, sembra appartenere ad un passato lontano.
Così aspettiamo che l’emergenza passi, ognuno nella propria casa e nel frattempo rivalutiamo le nostre convinzioni e la nostra visione del mondo.
Coronavirus e social network, i sintomi della solitudine
Internet è ormai il protagonista di tutti gli ambiti della nostra vita. È sui social che ci rapportiamo al mondo, facciamo acquisti, cerchiamo contatti, esprimiamo le nostre idee, ridiamo, conversiamo, ci arrabbiamo e ci lasciamo intrattenere dai meme.
Abbiamo creduto che la tecnologia avesse sostituito il contatto fisico, che grazie ai social network non fosse più necessario abbracciarci, accarezzarci, toccarci e baciarci per stare bene, che la socialità ormai si traducesse in post, followers, like e emoticons.
Ora che non abbiamo altro modo per rapportarci agli altri se non la tecnologia, riscopriamo l’importanza di un gesto semplice, eppure potente, come un abbraccio.
Sembra un affare da poco, in fondo ci si può videochiamare, eppure sentiamo la mancanza di incontrare le persone, di guardarle negli occhi senza il filtro di uno schermo. Magari viviamo lontani e prima di coricarci ci chiediamo quando sarà possibile stare di nuovo insieme ai nostri cari.
Con il coronavirsu, tutto ad un tratto la necessità di stare insieme si amplifica. La gente si affaccia al balcone in cerca di un segnale che ricordi il calore umano. Si inventa nuovi modi di stare in compagnia, anche se lontani.
Questo ci racconta quanto i social network non siano che un palliativo, che tutta la tecnologia di questo mondo non ci renderà mai l’appagamento di un abbraccio.
Il coronavirus mette tutti a rischio, nessuno immune
Il rischio di essere contagiati dal coronavirus coinvolge tutti, senza distinzione di nazionalità, colore, religione, pensiero politico, situazione economica.
Per quanto possa sembrare banale al dirsi, il virus ci ricorda che al di là di qualunque situazione o convinzione, siamo tutti a rischio, nessuno immune.
Ha chiuso il negozio di merceria sotto casa, così come è stato sospeso il campionato di calcio. Il virus può contagiare la diva di Hollywood, il politico nello stesso modo in cui può contagiare l’artigiano di provincia.
Il tram tram quotidiano si è fermato per tutti perché ad essere minacciata è la nostra natura umana e tutto questo non ha nulla a che fare con credenze e origini, ma con la fragilità del nostro essere.
I sintomi post coronavirus, un mondo nuovo
Quando usciremo di casa per fare una passeggiata domani, ci ricorderemo di questi giorni di incertezza e timore e ci sentiremo sollevati. Ci guarderemo indietro e ci renderemo conto di aver rivalutato le nostre priorità. Le vicende della nostra vita si presenteranno sotto una luce nuova e il semplice mettere un piede davanti all’altro lungo il parco in tutta libertà ci farà sorridere.
Ci ricorderemo di quanto ci siamo sentiti a rischio e riusciremo a provare empatia per gli altri, per quelli che si staranno intorno e per quelli di cui sentiremo parlare nei telegiornali.
Avremo imparato la differenza tra una minaccia reale e i discorsi che puntano il dito su fantomatici portatori di malattie, distruttori di culture ed economia.
Ripenseremo a questi giorni di quarantena con i nostri amici dall’altra parte del mondo. Persone che come noi sono rimaste a casa, incollate ai telegiornali, sentendosi fragili e impotenti di fronte a quel virus che in breve tempo ha ribaltato la nostra percezione del mondo.