Per chi volesse passare un Natale meno sadico del solito, incastrato tra parenti serpenti e amici suoi che spuntano come funghi velenosi solo a fine Dicembre, Italia2 stasera alle 21 propone “Profondo rosso” (1975), di Dario Argento.
Il film della definitiva esplosione artistica del regista romano riesce ancora, a 42 anni dalla sua uscita nelle sale italiane, a sconvolgere gli appetiti di brividi dello spettatore che vi si approccia alimentandone al contempo anche l’intelletto.
“Profondo Rosso” è l’opera liminare che chiude la fase giallistica di Argento che aveva trovato piena potenza nella cosiddetta “Trilogia degli animali” (“L’uccello dalle piume di cristallo”, “Il gatto a nove code”, “Quattro mosche di velluto grigio”) ed inaugura il successivo periodo horror, caratterizzato dall’annegamento della sempre presente detection in un mare di sangue splatter.
Marc Daly, il pianista jazz protagonista della vicenda ed interpretato da David Hemmings, continua la tradizione degli investigatori costretti controvoglia all’individuazione dell’omicida (anche a causa di una non brillantissima polizia che qui trova la sua figurazione più divertita in quel gran attore di Eros Pagni), caratteristica precipua del thriller all’italiana.
Pur non possedendo la riottosità di Tony Musante, protagonista dell’esordio cinematografico argentiano “L’uccello dalle piume di cristallo”, anche il placido Marc si trova stretto suo malgrado tra le maglie di una familistica e nerissima sequela di morti.
Se tale trama solletica da sempre le corde del nostro immaginario (giova ricordare il successo della rivista “Cronaca nera” che per anni ha riportato con sensazionalismo i fattacci di sangue avvenuti nei borghi di provincia più sperduti?!) Argento ha il fondamentale merito di averla imbellettata con alcune delle sue fantasie più macabre che, seppur lontane dai codici popolari, riescono ad avvincere proprio per la loro stranezza. Basta a titolo esemplificativo l’inquietante pupazzo meccanico che fa la sua fantasmatica apparizione durante l’omicidio del professor Giordani.
Si tratta di una presenza gratuita perché non spiegata e non spiegabile, avvinta peraltro in un’aurea d’onirismo malato fuori contesto in una storia che fino a quel momento viaggiava sui binari della verosimiglianza casereccia.
Ma è proprio questo il motivo del suo successo: l’inserimento a schiaffo di un forte elemento d’assurdità nel momento di maggior tensione. Dopo “Profondo rosso” il soprannaturale otterrà la predominanza nella produzione argentiana, è notorio, ma è proprio in questa fuoriuscita temporanea e mai preventivabile dall’ordinario che esso trova la sua sintesi più felice.
Altro elemento che caratterizza il film è la straordinaria perizia tecnica che anima tutte le scene, non solo quelle di maggior impatto orrorifico. A partire dalla messa in scena volutamente spaesante che unisce le location più sinistre di Torino, Roma e Perugia, Dario Argento opera una metafisica rilettura degli spazi piegandoli all’astrazione pura (Piazza C.N.L. a Torino in cui ricostruisce un bar che omaggia uno dei più famosi dipinti del Novecento: “Nighthawks” di Edward Hopper).
Marc si muove tra ambienti che risultano perturbanti anche per noi italiani perché pur trattandosi di luoghi riconoscibili non corrispondono perfettamente, per via di un dettaglio fuori posto, alle nostre aspettative.
Perfino un interno banale, come quello del teatro in cui si svolge il convegno di parapsicologia, viene inframmezzato da un montaggio martellante che alterna quaranta tagli d’inquadratura in una scena che dura poco più di tre minuti. Le continue soggettive che alternano quasi schizofrenicamente i punti di vista passando tra quello della vittima e soprattutto, come quasi mai prima di allora, a quello dell’omicida contribuiscono a confondere il piano visivo.
Per ultimo, non si può non tacere della massiccia presenza della musica dei Goblin che, andando oltre la bellezza delle melodie progressive, s’inserisce perfettamente nella cacofonia sensoriale a cui Argento sottopone i propri spettatori. Sorprendendo insomma anche il suo udito con note rock che sembrano farsi partecipi (con malcelata lascivia) degli assassini il regista arriva al suo intento con una precisa poetica che lascia poco spazio alle uscite fuori strada, fatte salve le terrificanti (e questa volta non è un complimento!) schermaglie da screwball comedy tra Gianna, interpretata dalla compagna di allora Daria Nicolodi, e Marc. Dateci retta, invece di usare il coltello per tagliare sghembe fette di panettone, questo Natale usatelo… per cambiare canale fino ad Italia 2!