H&M in crisi – Il mondo della moda si muove velocemente. E non solo perché a influenzare i trend e i gusti dei consumatori intervengono innumerevoli attori, dal youtuber al fashion blogger, dall’influencer al giornale online semiprofessionale, che reinterpretano il diktat del catwalk in modo rapido, anarchico e imprevedibile. Le abitudini di consumo cambiano con i trend: il numero di persone che preferisce acquistare abbigliamento dal proprio smartphone è in crescita esponenziale, e spesso gli shop online-only (ASOS per esempio) riescono a interpretare la passerella più rapidamente, a prezzi contenuti ma con merce di qualità.
E la qualità, che sembra essere un criterio di selezione vecchio come il mondo, è anche lei soggetta a variazioni: pare infatti che la ripresa del settore lusso nel 2017 sia stata riconducibile ai Millenials, alla ricerca di accessori e abiti dai materiali di valore e che strizzino l’occhi anche allo status symbol.
Una descrizione che suona come la dichiarazione di morte del gigante della vendita al dettaglio con un’immensa rete di negozi “offline” e merce a basso costo (ma anche notoriamente bassa qualità): H&M.
H&M: Segnali di crisi per il colosso del “fast fashion”
I primi segnali di crisi hanno cominciato a delinearsi l’anno passato, quando alla fine del quadrimestre si era registrata una consistente caduta nelle vendite e quindi nei titoli in borsa, la prima in 13 anni. L’inarrestabile espansione che aveva trasformato il negozio alla periferia di Stoccolma in gigante della moda con 4.700 punti vendita in tutto il mondo pare essersi fermata, e i pronostici non sono rosei. Il problema è generalizzato: catene di negozi con marchi a basso costo sembrano subire le conseguenze della tendenza in rialzo all’acquisto online, e di una concorrenza sul web in grado di offrire prezzi ancora più vantaggiosi.
Ma H&M, simbolo del “fast fashion”, ne sta soffrendo più di altri, forse anche per le sue enormi dimensioni. I ritmi di produzione sono talmente alti che al primo rallentamento delle vendite il brand svedese si è trovato con un imbarazzante 4,3 miliardi di dollari di articoli invenduti e un calo del 61% nei profitti. Il problema del grande surplus di merce a bassa qualità non è comunque nuovissimo per la catena di abbigliamento, ma quasi strutturale: esiste infatti già, vicino a Stoccolma, la prima centrale elettrica che, abbandonato il carbone per motivi ecologici, adesso funziona a vestiti di H&M.
Mesi difficili per H&M
Non solo l’azienda ha visto un calo dei guadagni e dei titoli in borsa e un aumento incontrollato degli stock di invenduto, ma in gennaio è stata anche coinvolta in uno scandalo che ne ha nuovamente danneggiato l’immagine già non immacolata, costringendola a chiudere alcuni punti vendita in Sud Africa e mettendola al centro di critiche mediatiche e boicottaggi. L’indignazione pubblica, che aveva travolto i media, social e non, con l’intero starsystem afroamericano accusante H&M di razzismo, era partita da una pubblicità in cui si vedeva un bambino nero con indosso una felpa con la scritta “the coolest monkey in the jungle”.
Non solo: H&M, così come gli altri negozi di moda a basso costo, si stanno preparando all’offensiva di Amazon partita dagli USA e in arrivo anche in Europa. Il gigante delle vendite online vuole espandersi anche al settore fashion e proporre un nuovo servizio, già attivo negli USA, per cui i clienti Prime possono ordinare vestiti e accessori pagando solo quelli che intendono conservare, e restituendo il resto.