Silvia Salemi: “Il mio ritorno alla musica onesto e sincero”, l’intervista

Nel corso della sua carriera musicale, Silvia Salemi ha dimostrato più volte di essere un’artista in grado di donare, attraverso l’apporto della propria voce, il suo personale valore aggiunto onesto e sincero alla musica. In occasione dell’uscita del singolo “Potrebbe essere”, che anticipa la pubblicazione il prossimo 7 luglio del nuovo disco “23”, la cantautrice siciliana si è messa a nudo in una lunga intervista, raccontando le ragioni che l’hanno spinta ad allontanarsi dalle scene e le sensazioni che la portano oggi a sentirsi rinata come un’araba fenice.

Ciao Silvia, “Potrebbe essere” segna il tuo atteso ritorno discografico, che anticipa l’uscita del il tuo settimo album di inediti intitolato “23”. Cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo lavoro e quale anticipazioni puoi regalarci?
“Si tratta di un disco musicalmente e autoralmente sincero, ho sempre precisato che le logiche commerciali per cui si debba per forza uscire con un disco nuovo ogni anno non mi appartengono. Trovo sia giusto, invece, pubblicare qualcosa quando si hanno delle canzoni che rappresentano un po’ lo specchio di quello che sei in quel momento. Questo risultato lo devo al mio gruppo di lavoro, che con me si è impegnato nella realizzazione di questo prodotto discografico, con dedizione e amore miei confronti. ’23’ è il disco che rispecchia la Silvia di oggi, sia come donna che come artista. Nel disco figura una grande firma della regia e della sceneggiatura italiana: Giovanni Veronesi, che ha scritto uno dei prossimi singoli, intitolato ‘Credo’, dando una pennellata ancora più sociale a questo lavoro discografico, perché racconta la nostra realtà in modo poetico, affabulante, trovando una chiave di lettura descrittiva molto particolare”.

So che non vuoi rivelarlo, ma ci provo lo stesso: a cosa si deve la scelta di intitolare questo progetto “23”?
“Non vorrei svelare molto, ma è un numero che racchiude un po’ tutta la mia filosofia di vita, perché legato a dei numeri e a delle date particolari della mia vita. Ma non posso anticiparti di più”.

Cosa rappresenta per te “Potrebbe essere” e il videoclip che lo accompagna?
“Questa canzone racchiude tutti gli anni in cui sono stata assente dalla musica e, al tempo stesso, rappresenta il mio ritorno alla musica attraverso quello che sono diventata nel tempo. Nel videoclip diretto dal regista Gaetano Morbioli, che considero il più grande in ambito musicale, abbiamo voluto esprimere il concetto di possibilità attraverso i lacci, la filosofia del ‘potrebbe essere così come potrebbe anche non essere’, in cui aleggia una sorta di dubbio, lo stesso che ognuno di noi si porta dentro quotidianamente in questa epoca decisamente condizionale”.

Facciamo un passo indietro. Nel ’95 hai esordito vincendo il Festival di Castrocaro, una delle kermesse storiche che ha lanciato numerosi artisti. Secondo te, oggi, perché certe manifestazioni non riescono più ad avere lo stesso successo e lo stesso peso discografico di un tempo?
“Principalmente perché sono state soppiantate dai talent show, che sono più immediati e in grado di fidelizzare il pubblico, purtroppo, spesso basati sull’esterofilia perché i format vengono comprati dall’estero, come ‘X Factor’ o ‘The voice’. Spettacoli e manifestazioni puramente italiane, forse, non sono state in grado di rigenerarsi e mantenere il proprio successo. Certo è che io sono stata l’ultima benedetta dal sistema di quell’epoca, perché mi sono ritrovata nell’ultimo anno in cui il vincitore di Castrocaro era ammesso di diritto per regolamento a Sanremo. Per me è stata una fortuna, forse era anche giusto accadesse questo, ma oggi non è più così e bisogna accettare i cambiamenti temporali e imparare a cavalcarli e gestire. Il consiglio che rivolgo ai giovani che vogliono fare il mio stesso mestiere, è quello di farsi una propria gavetta, perché nella vita servirà sempre. Ogni epoca ha i suoi pro e i suoi contro, ma il talento e l’esperienza vincono su tutto”. 

Poi sono arrivate le tue quattro partecipazione a Sanremo, che ricordo hai per ognuna di queste esperienze?
“L’esordio a diciott’anni con ‘Quando il cuore’ lo definirei con le parole ‘inconsapevolezza’ e ‘spavento’, l’anno seguente con ‘A casa di Luca’ il mio stato d’animo era quello di mettercela tutta per affermarmi e fare di questa mia passione un mestiere, poi sono ritornata con ‘Pathos’ nel segno della continuità del successo precedente, infine, con ‘Nel cuore delle donne’ si è trattato di un ritorno, a cinque anni dalla mia ultima partecipazione, di una maggiore consapevolezza. Nello stesso anno ho conosciuto mio marito, mi sono sposata e ho deciso con lui di creare una famiglia, mettendo al primo posto questo progetto, pensando che un giorno sarei rientrata, ma solo quando mi sarei sentita pronta e soddisfatta di quello che avevo realizzato”.

Quindi, adesso ti senti pronta per una cinquina?
“Bella domanda. Ti dico la verità, a Sanremo quest’anno non c’ho pensato, tant’è che il disco esce a Luglio, quindi non ho avuto alcuna tentazione. Quando saremo sotto data, insieme al mio staff, ci renderemo conto se ci saranno le premesse per poterci provare. Ho grande rispetto per Sanremo, è la più importante vetrina musicale che ci è rimasta, ma la vivo con grande serenità e umiltà, perché è una di quelle belle occasioni che se arrivano bene, ma se non arrivano bisogna comunque continuare a lavorare su altro”.

Sia nella tua prima che nella tua ultima volta all’Ariston, c’era Pippo Baudo. Sul web ci sono molte petizioni e sono tante le persone che lo rivorrebbero su quel palco. Non trovi che a volte la più grande innovazione può essere rappresentata dal coraggio di tornare alla tradizione?
“Hai detto una cosa che condivido in pieno, che mi permette di allinearmi e associarmi al tuo pensiero. Far conoscer al pubblico delle modalità espressive che non ci sono più, di fatto, può rappresentare oggi una vera innovazione, una nuova linfa vitale. Questo lo ha capito e messo in pratica già Carlo Conti, considerato da molti come il suo erede artistico, che ha fatto un grandissimo lavoro negli ultimi tre anni. Attingere dalla tradizione e da maestri come Pippo Baudo, alla fine, dà sempre grandi frutti”.

Quest’anno ricorre il ventennale da quello che possiamo considerare, credo con molta tranquillità e onestà intellettuale, il tuo più grande successo: “A casa di Luca”. Il successo per un’artista che svolge con passione il proprio mestiere è di certo una conseguenza e non un ossessione, lo capisco da come mi parli e lo hai dimostrato con molta serenità con le tue scelte. Quali sono i lati del tuo mestiere che ti fanno dire: che bello il lavoro che faccio?
“Devo dire tantissimi, ma principalmente quando incontro qualcuno che mi ringrazia per avergli trasmesso qualcosa, l’occasione di uscire dal tuo guscio e di stare con gli altri attraverso un’emozione o una riflessione, la condivisione è da sempre una ricchezza impagabile per me”.

Fare quello che si vuole e che ci rappresenta, secondo te, è il vero privilegio che ci rende liberi o non schiavi di un sistema?
“Bisogna cercare di produrre con i giusti tempi dettati dalla propria ispirazione e non da logiche di mercato. Sai quante volte mi sono sentita dire che se non facevo una cosa in un determinato momento rischiavo di uscire dal giro? Mi sono sempre detta che andava bene comunque, che sarebbe stato più arduo rientrare, ma rappresentava un rischio che dovevo avere il coraggio di prendere, una responsabilità che mi sentivo di assumere per me, per la mia famiglia, per ciò che mi sono sentita di fare in quel momento. Solo grazie a questo oggi mi sento felice, contenta di ritornare, perché continuare a spremere un qualcosa che in quel momento non c’è, alla fine, lo trovo disonesto nei confronti del pubblico. Ho sempre cercato di seguire e rispettare le mie esigenze e mai quello che gli altri impongono, perché credo che solo se siamo corretti verso noi stessi riusciamo ad esserlo anche con gli altri”.

Il tuo pubblico in questi dieci anni ti ha aspettato, rispettato e compreso per le tue scelte?
“Sempre. Le persone che da anni mi seguono mi hanno aspettato, capendo i miei silenzi, erano felici del fatto che io stessi dedicandomi a qualcosa di importante per me, promettendogli sempre che sarei tornata. E’ stato sempre un amore molto rispettoso e assolutamente reciproco”.

Quale messaggio vorresti che il pubblico recepisse, oggi, dalla tua musica? “La libertà di esprimere le proprie idee in un mondo molto condizionato, il combattere per portare avanti le nostre ambizioni e i nostri progetti. Quindi, buona fortuna a tutti coloro che non si arrendono anche attraverso il numero ’23’, che rappresenta per me la fortuna. Ecco, te l’ho detto!”.

Scritto da Nico Donvito

Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica e spettatore interessato di tutto ciò che è intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.