Caporalato e schiavismo nei campi pugliesi sono d’attualità e talvolta sottovalutati. In particolare nel Foggiano, tornato alla ribalta per due incidenti stradali rivelatisi mortali per sedici braccianti agricoli: quattro sulla provinciale tra Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri, dodici sulla statale 16 vicino a Lesina. Ma chi si nasconde dietro scenario raccapricciante? Ce lo rivela un’inchiesta esclusiva condotta da L’Espresso su una nuova forma di mafia: la “Società Foggiana“.
Impostasi come quarta mafia, la “Società Foggiana” si basa su un modus operandi semplice: imporre e dominare una comunità di persone sottomesse a un modello di vita spietato e dai mille risvolti oscuri. Tratto distintivo di questa nuova ‘casta’ è l’omertà, che assume le forme della connivenza e, peggio ancora, del tacito consenso. Lo evidenzia il Consiglio superiore della magistratura nella sua analisi sulla situazione a Foggia deliberata il 18 ottobre 2017: “Deve evidenziarsi che dal 2007 non si hanno collaboratori di giustizia interni ai circuiti associativi”. Peraltro, continua il Csm, balza all’occhio un dettaglio di non secondaria importanza: “Dall’inizio degli anni Ottanta a oggi, su circa trecento delitti di sangue ascrivibili al contesto mafioso foggiano, l’80 per cento sono ancora irrisolti“. L’ultima strage risale al 2017: il 9 agosto scoppiò una sparatoria nei campi di San Marco in Lamis, dove persero la vita il boss del Gargano Mario Luciano Romito, suo cognato che gli faceva da autista, Matteo De Palma, e i due fratelli agricoltori Luigi e Aurelio Luciani. Destino davvero beffardo quello dei fratelli Luciani, assassinati per essere stati inconsapevolmente testimoni del fatto.
Una tragica vicenda di cronaca nera che pone sotto i riflettori un nuovo modo di favorire il trasporto illegale di braccianti, posti alla mercé dello sfruttamento più meschino e alla violazione dei propri diritti.
Caporalato a Foggia: la vicenda giudiziaria
L’analisi del Csm denuncia una situazione pericolosa: “Si legge nella relazione trasmessa dal Procuratore di Bari che, in alcune indagini, è stato accertato che l’organizzazione criminale, effettuando una preventiva selezione tra le giovani donne ridotte in schiavitù, individua quelle da destinare alla prostituzione, con il ruolo precipuo di adescare i “pubblici ufficiali” cui rendere prestazioni sessuali non retribuite economicamente, ma con la prestazione di favori, in particolare l’omissione di controlli nei campi in cui si attua lo sfruttamento lavorativo dei braccianti”.
Collusione tra malavita e giustizia: questo è un altro volto della triste vicenda. Ciò trova conferma in diverse indagini condotte dalla Guardia di Finanza di Foggia. Lo scorso 3 maggio la Guardia di finanza ha arrestato tre ispettori dell’Ufficio territoriale del lavoro, tra cui un dirigente. Sono stati accusati di aver contraffatto i loro verbali e di aver violato l’obbligo di comunicare all’autorità giudiziaria le notizie di reato accertate nei confronti di imprenditori del settore agricolo, edilizio e alimentare.Tra gli indagati, secondo gli atti della Procura di Foggia, anche un sottufficiale dei carabinieri, a capo del locale nucleo investigativo del ministero del Lavoro.
Un’altra inchiesta, risalente al 2017, è stata condotta dalla Guardia di Finanza che ha indagato per falso, abuso d’ufficio e rivelazione di segreti un funzionario del Servizio prevenzione sicurezza ambienti di lavoro della Asl e altri dodici pubblici ufficiali. La storia della “Società foggiana” è ormai parte integrante di alcune sentenze di condanna che hanno premiato la collaborazione nello scambio di informazioni tra la Procura locale e la Direzione distrettuale antimafia di Bari.
E le sue geografie familiari fanno oggi parte dell’ “Enciclopedia delle mafie“: un’opera in sei volumi sulle associazioni criminali italiane curata dal maresciallo dei carabinieri Fabio Iadeluca e pubblicata da Curcio Editore.
Caporalato a Foggia: l’eroe Giovanni Panunzio
Giovanni Panunzio era imprenditore edile e padre. Fu ucciso a 51 anni il 6 novembre 1992 perché si era opposto con tenacia ai mafiosi locali. Un caso risoltosi quasi immediatamente: infatti gli assassini furono condannati grazie a un testimone coraggioso, un commerciante di cani. Il processo si concluse in Cassazione nel 1999 con il primo riconoscimento sulla natura mafiosa della “Società foggiana”. Ed è proprio da quel coraggio che la terra foggiana è stata invasa da una nuova vitalità: sono sbocciate numerose associazioni antiracket, manifestazioni di Libera e la solidarietà della Caritas.