La morte di Dj Fabo è solo la punta dell’iceberg di un tema che infuoca l’Italia da 20 anni a questa parte. Prima di lui Eluana Englaro, Piergiorgio Welby ed Elena Moroni, persone appese a un filo sottile che hanno combattuto per ottenere un loro diritto: quello di morire anziché rimanere attaccati a una macchina, nella piena impossibilità di muoversi e, soprattutto vivere. Si tratta di vicende umane che hanno innescato una serie di questioni ruotanti attorno a fattori tanto diversi ma di eguale importanza: etica, diritto di morire, capacità di scegliere, divieto di avviare suicidi assistiti e non, religione e tanto altro. Insomma, elementi che gettano ombre e luci su tre tematiche importanti: eutanasia, suicidio assistito e biotestamento.
Enclavi giuridiche e iter normative a parte, talvolta si tende a confondere i tre termini sopracitati e il confine tra i tre è talmente labile, che appare difficile limitarli.
Differenza tra eutanasia e suicidio assistito
Eutanasia
Il termine ‘eutanasia‘ tra origine dal greco Eutanasìa e rimanda al significato letterale di “buona morte”. Un significato che trova applicazione oggigiorno ed è definibile come intervento medico atto a provocare la morte di una persona consenziente, malata o impossibilitata in modo permanente.
L’eutanasia contempla due tipologie:
- attiva: viene somministrato un preparato che comporta l’immediata morte del paziente;
- passiva (o omissiva): viene sospesa la cura comprendente alimentazione e idratazione per velocizzare la morte del paziente.
Da un punto di vista legislativo, i reati e le pene variano in base al tipo di eutanasia pratica. Il ricorso all’eutanasia attiva in Italia non è disciplinata da alcuna norma e, per questo, è assimilabile all’omicidio volontario. Nel caso in cui si dimostra il consenso del malato, si parla del reato di omicidio del consenziente e le cui pene vanno dai 6 ai 15 anni.
Quanto alla sospensione delle cure, quindi l’eutanasia passiva, è da considerarsi un diritto inviolabile in base all’articolo 32 della Costituzione italiana la quale ribadisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Accogliendo questo principio inviolabile, infatti, in casi precedenti i tribunali hanno prosciolto i medici che ne hanno fatto ricorso anche quando l’eutanasia passiva adoperava trattamenti sanitari controversi in tema di alimentazione e nutrizione. Aspetto poi chiarito solo dall’introduzione delle norme sul biotestamento entrate in vigore nel gennaio 2018.
Terapia del dolore, cure palliative e rifiuto dell’accanimento terapeutico non sono da considerarsi eutanasia.
Suicidio assistito
Il suicidio assistito l’implica la partecipazione indiretta del medico, che si limita a fornire al paziente gli strumenti adatti a compiere il gesto (vedi il caso di Dj Fabo). Da un punto di vista normativo, il suicidio assistito è considerato un reato equiparabile alla istigazione oppure aiuto al suicidio.
Tuttavia il procedimento legislativo è alquanto contraddittorio. Nel novembre 2017, il Tribunale di Milano ha stabilito che non si può ostacolare la volontà di chi vuole recarsi all’estero per ottenere il suicidio assistito. Il caso di Dj Fabo e del processo nei confronti di Marco Cappato, giunto dinanzi alla Corte Costituzionale per stabilire l’illegittimità o meno del reato di istigazione al suicidio, potrebbe dare un’ulteriore svolta alla situazione.
Il successivo 24 ottobre 2018 la Consulta ha rimandato la decisione, chiedendo al Parlamento di risolvere il vuoto normativo creatosi in seno al tema del suicidio assistito. “L’attuale assetto normativo sul fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”, scrivono i giudici della Corte. Le forze politiche però negli undici mesi successivi non sono riuscite a trovare un accordo e a legiferare in materia”.
Un piccolo passo in avanti è stato compiuto martedì 25 settembre 2019, quando la Corte Costituzionale ha emesso il proprio verdetto ritenendo non punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili”. Decisione presa in riferimento all’articolo 580 del codice penale.